INTERVISTA. Crime Bank, l'imprenditore D'Auria: "Se denunci, le banche ti tagliano i fidi" - Informareonline.com (2023)

Quando un imprenditore denuncia la mafia non avrà come nemici solo i suoi aguzzini, ma in alcuni casi anche le banche e le agenzie assicurative. In Italia c’è un’ampia normativa a sostegno dei testimoni di giustizia, ai quali viene garantita tutela e l’accesso al fondo di solidarietà, parliamo di un risultato raggiunto grazie al sacrificio di tanti imprenditori che hanno perso la vita denunciando il racket o l’usura dei clan.

Indice

Lazzaro D’auria e la mafiaL’intervista a Lazzaro D’AuriaLa questione banche

Un impegno che si è fermato contro un potere privatistico che lo Stato non ha ancora avuto il coraggio di affrontare: le banche. Se un imprenditore denuncia la mafia e gli viene assegnata una scorta, il sistema di valutazione di rischio interno alle banche assegna al testimone di giustizia un rischio vita elevato definito “Crime risk”.

I testimoni di giustizia, addirittura, possono trovarsi nelle valutazioni antiriciclaggio interne agli istituti bancari, che sono delle liste fatte per mettere la banca in allarme su soggetti potenzialmente legati al crimine. Il paradosso vero è che in queste liste, oltre che i criminali, possono esserci anche imprenditori che mettono a rischio la propria vita denunciando la mafia.

Se de-nunci e hai una scorta significa che la mafia potrebbe ucciderti, quindi di conseguenza gli istituti bancari ci pensano due volte prima di farti credito o di agevolarti. Lo stesso ragionamento avviene per le agenzie assicurative: se chi denuncia subisce danni o ritorsioni ad aumentare sarà anche il costo della polizza. Decurtazione degli affidamenti, tassi di commissioni più alti, spese raddoppiate e costi assicurativi duplicati sono i nemici che gli imprenditori antiracket affrontano dopo aver denunciato i clan.

Lazzaro D’auria e la mafia

L’ABI e la FAI da tempo siglano protocolli d’intesa volti a contrastare assiduamente questo fenomeno, ma in alcuni istituti bancari il “crime risk” continua a vessare i commercianti che denunciano. Una vicenda indicativa è quella accaduta a Lazzaro D’Auria, imprenditore che per primo ha denunciato la mafia foggiana. Il coraggio di Lazzaro è stato decisivo in una terra in cui le violenze dei clan continuano ancora oggi.

Dopo la sua denuncia Lazzaro ha subìto decurtazioni per affidamenti bancari oltre i 3 milioni di euro, se dopo tempo è riuscito a vedere ripristinati almeno alcuni tagli, dall’altro lato le banche continuavano a imporgli tassi e spese più esosi. Lo stesso imprenditore ci ha detto che dopo la denuncia non ha più avuto alcuna polizza assicurativa sui suoi terreni agricoli, questo a causa delle continue ritorsioni che la mafia foggiana attuava.

Per un’azienda queste azioni bancarie e assicurative significano danni immani, una beffa se si pensa che imprenditori che hanno il coraggio di ribellarsi dovrebbero essere sostenuti e incoraggiati. In un’intervista Lazzaro D’Auria confesserà: «A demoralizzarmi sono state le banche più che la mafia».

L’intervista a Lazzaro D’Auria

Quando hanno inizio le minacce della mafia foggiana?

«Alla fine del 2014 hanno iniziato ad avvicinarsi esponenti della mafia foggiana per chiedermi aiuti per le famiglie dei carcerati, alle quali io rispondevo offrendo loro viveri. Nel 2015 hanno avuto inizio le minacce dei gregari che mi intimavano di pagare se volevo stare tranquillo, questo è continuato per un anno circa».

Poi cos’è successo?

«C’è stata la prima forte avvisaglia. Stavo uscendo dalla superstrada per recarmi nelle mie campagne quando dietro di me vedo un’alfa romeo lampeggiarmi, all’inizio pensavo fossero le forze dell’ordine così ho rallentato. All’improvviso due persone scendono dalla macchina e iniziano a picchiarmi, dicendo che io a Foggia non dovevo più lavorare. Dopo quel fatto sono andato a denunciare».

Dopo la denuncia questi personaggi venivano nella tua azienda?

«Sì, sempre per chiedermi soldi o l’acquisto dei loro prodotti. In seguito, mi dissero che dovevo incontrare il boss locale per l’estorsione che dovevano farmi, circa 200mila euro all’anno che dovevo versare nelle loro casse».

Com’è stato l’incontro che hai avuto con il boss Rocco Moretti?

«L’ho incontrato insieme a Nino Cianci, con il quale aveva creato una società che si occupava della vendita e degli incassi trattenendo il 3% del fatturato. Io dovevo fare tutto tramite la loro società, le aziende dovevano comprare per forza da loro e non potevano sottrarsi al pagamento vista la minaccia mafiosa».

Da quell’incontro cos’è cambiato?

«Un giorno si presenta in azienda Mimmo Valentino chiedendomi un acconto di 50mila euro che voleva lo zio Rocco (Rocco Moretti .ndr); al mio rifiuto rispondeva dicendomi che se la sarebbero presa con me e la mia famiglia. Quando ho sentito nominare i miei figli non ci ho più visto, mi sono riversato contro di lui spingendolo verso la porta. I miei operai ci divisero e tra di loro c’era anche Matteo Lombardozzi, un ex delinquente che aveva deciso di cambiare vita e che avevo in affidamento».

Cos’è successo dopo l’aggressione a Valentino?

«La settimana dopo ammazzarono Matteo Lombardozzi mentre tornava in carcere. Dopo quell’evento mentre ero in campagna una mattina ho visto arrivare verso di me cinque macchine, dalle quali scesero Rocco Moretti ed affiliati di spicco. Da lì è partita una trattativa sulla cifra dell’estorsione, premetto che ovviamente io non avrei assolutamente pagato era solo un modo per farli andare via.

Dopo la trattativa si è avvicinato Giuseppe Lapiccirella mettendo un colpo in canna nella pistola dicendomi: “questa è l’ultima volta: ci devi dare 150mila euro all’anno, in più devi pagarci le guardianerie e lasciarci dieci ettari di terreno perché deve coltivarci un mio produttore”. Avevo la pistola alla tempia e così ho acconsentito a tutto, chiedendogli solo il tempo per reperire la somma».

Dopo la minaccia cos’hai pensato?

«Volevo chiudere l’azienda e abbandonare tutto, era una situazione troppo complessa. Poi ho pensato a tutti i sacrifici che ho fatto nella mia vita per mettere in piedi le mie aziende… non potevo lasciare tutto per colpa di quattro pezzi di merda».

Avevi già denunciato alla Questura e a quelle dichiarazioni con nomi e cognomi non ci sono state conseguenze. Cos’hai fatto dopo l’ennesima minaccia?

«Sono andato al Comando dei Carabinieri. Quando ho iniziato a parlare gli agenti erano increduli; li ho portati in tutti i posti in cui ero stato convocato dai mafiosi. A distanza di pochi giorni c’è stata la strage di San Marco in Lamis, dove un commando ha ucciso il boss foggiano Mario Luciano Romito e nella fuga ha colpito due agricoltori innocenti: Luigi e Aurelio Luciani».

Da lì scoppia la bomba mediatica sulla mafia foggiana…

«La mia denuncia trovava finalmente riscontro! I magistrati che ho sentito mi hanno chiamato “pazzo” perché conoscevano la crudeltà della mafia foggiana. Da lì in poi ho confermato le accuse in giudizio e mi hanno assicurato tutela per me e le mie aziende».

Quel processo scaturito dalle tue denunce porterà molti degli accusati a usufruire del rito abbreviato, com’è stato per te?

«Il rito abbreviato ha stabilito la conferma dell’esistenza della mafia foggiana. Da quel procedimento in poi ci sono stati oltre settecento arresti».

La questione banche

In un’intervista hai detto che ti hanno demoralizzato più le banche dei delinquenti. Ci spieghi cos’è accaduto?

«Ho fatto una denuncia alla Dda su questo tema. In pratica quando denunci entri in un rating bancario più alto, ovvero ti categorizzando come persona ad alto rischio vita e di conseguenza le banche ti tagliano i fidi. A fine 2017 rientro con i finanziamenti avuti dagli istituti bancari, ma da marzo del 2018 le banche rifiutano di finanziarmi e mi dimezzano gli affidamenti per un importo di sei milioni di euro. Ti lascio solo immaginare il crollo lavorativo che ho avuto a seguito della denuncia».

Tu hai denunciato tutto pubblicamente, cosa è stato fatto?

«Mi è stato detto che le banche sono enti privati e quindi non hanno obblighi verso la persona che denuncia, loro devono seguire i propri interessi. Il loro obiettivo è proteggere il credito che rilasciano e per farlo devono affidarsi al rating bancario, se una persona che denuncia la mafia è a rischio vita allora devono prendere precauzioni».

Questa dinamica denunciata nel 2019 continua ancora oggi?

«Sì. Ho avuto nell’ultimo periodo un miglioramento del rating solo perché ci allontaniamo dal tempo della denuncia. In pratica man mano che la mafia non riesce ad uccidermi io guadagno punti con le banche: è assurdo».

Lo stesso vale anche per le assicurazioni?

«Nel 2018 non ho avuto più copertura assicurativa per danni atmosferici e dolosi dopo i vari incendi e ritorsioni subite, questo perché ero il cattivo cliente che aveva denunciato la mafia. Per tre anni sono stato senza assicurazione per i miei terreni, se ci fosse stata un’alluvione sarei fallito non per i miei aguzzini ma a causa delle compagnie assicurative».

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Author: Tyson Zemlak

Last Updated: 26/01/2024

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