“è apparsa la grazia di dio” (Tt 2,11)
NATALE 2008
sussidio LITURGICO-pastorale I.P.
€ 1,00
Av ven to
“è apparsa la grazia di dio” (Tt 2,11)
Av ven to
NATALE 2008
PRESENTAZIONE
INTRODUZIONE
“È apparsa la grazia di Dio” Le parole dell’apostolo Paolo a Tito, poste come titolo generale del sussidio, ci introducono nel tempo dell’attesa e della speranza, qual è l’Avvento. Lasciandoci condurre dalla liturgia di queste settimane, sperimentiamo il grande paradosso dell’esperienza cristiana. Essa, infatti, è orientata al compimento ultimo della storia: il trionfo pieno e definitivo della vita; ma non siamo costretti a rimandare l’esplosione della gioia, perché in quel Bambino che giace nella mangiatoia Dio mostra la sua gloria e riempie fin da ora la nostra solitudine. Come ci ricorda Benedetto XVI, “l’eterno oggi di Dio è disceso nell’oggi effimero del mondo e trascina il nostro oggi passeggero nell’oggi perenne di Dio” (Omelia, S. Natale 2005). Da quella notte a Betlemme, la luce non si è mai più spenta e festeggiare il Natale significa lasciarci avvolgere da essa, così che svaniscano le distanze che ci dividono e ci separano, e le famiglie e i popoli ricevano il dono della fraternità e della pace. L’Avvento è dunque il tempo dello stupore e dell’adorazione, nel quale i credenti in Cristo sono invitati a restare in un’attesa vigilante e operosa, alimentata dalla preghiera e dalla carità. La gloria di Dio che “è apparsa” per noi è amore ed è anche verità, che solo uniti possono generare novità di vita individuale e sociale. La luce di Betlemme, infatti, rinnova il cuore e purifica la mente. Dove sorge la fede nel Bambino, lì fioriscono anche la giustizia e la libertà, la promozione della dignità umana e il perdono. Attraverso il percorso delineato nel presente sussidio, è questo l’augurio che desideriamo fare a tutti per il prossimo Natale: di poter sperimentare in noi e testimoniare agli altri la bellezza della vita cristiana, e come essa sia compimento di ogni attesa, ragione di una nuova solidarietà, gioia perfetta che non avrà mai fine. La Segreteria Generale della CEI
Nel corso del tempo, ciascuno di noi fa l’esperienza, prima o poi, di alcuni momenti più decisivi e determinanti per la propria vita. Anche l’anno liturgico ci propone tali periodi, chiamati «tempi forti», a motivo della singolare intensità spirituale da vivere in essi. L’Avvento e il Natale, insieme alla Quaresima e alla Pasqua, rappresentano questi periodi particolarmente significativi. In particolare nell’Avvento e nel Natale accogliamo la venuta e la manifestazione del Signore in mezzo a noi. Si tratta di una triplice venuta: quella storica del Figlio di Dio fatto uomo, quella escatologica del Cristo a compimento della storia, quella quotidiana del Signore in ogni uomo e in ogni tempo. D’altra parte, la manifestazione del Verbo di Dio divenuto uomo diventa motivo di salvezza per tutta l’umanità. Proprio quest’ultima prospettiva è sinteticamente espressa dalla frase «È apparsa la grazia di Dio», desunta dalla lettera a Tito. Il testo citato proviene dall’epistolario di Paolo, rimandando la nostra attenzione a tale personaggio, così importante nella storia della Chiesa, del quale quest’anno celebriamo un anno giubilare. Il papa Benedetto XVI ha infatti proclamato l’anno paolino dal 28 giugno 2008 al 29 giugno 2009, invitando tutta la comunità ecclesiale ad approfondire e meditare la vicenda cristiana e gli scritti dell’Apostolo. In consonanza con quanto recita la nostra frase, Paolo ha sperimentato, nel momento della sua conversione a Cristo, l’azione gratuita e salvifica del Signore e di questa grazia di Dio è divenuto annunciatore instancabile a beneficio di tutte le genti. Così l’itinerario di Paolo diviene il modello per quello del credente che celebra l’Avvento e il Natale: in questo tempo ciascuno di noi, insieme con la propria famiglia, è chiamato ad attendere e scoprire la molteplice presenza del Signore come un dono sempre nuovo, dono da condividere e manifestare con gioia a tutti coloro che incontriamo sulla nostra strada.
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Tempo di Avvento, tempo di preparazione alla venuta del Signore Gesù: non solo la sua venuta storica, quando il Figlio eterno di Dio si incarnò nel grembo di Maria, ma anche la sua venuta attuale, ossia il rendersi presente in vari modi nella nostra vita di tutti i giorni, e infine la sua venuta futura. La liturgia di Avvento legge quest’ordine partendo dalla fine: la meta, infatti, dà significato a tutto il cammino. E così la prima domenica di Avvento si focalizza sull’ultima venuta di Gesù (2a lettura e Vangelo). Proviamo a entrare in questa prospettiva seguendo le indicazioni della seconda lettura. Corinto è un capoluogo importante della Grecia. Con i suoi due porti è al centro di fitti scambi commerciali. È una città multietnica e multiculturale, con le contraddizioni e i problemi
che una società di questo tipo comporta. In tale contesto la testimonianza di Paolo ha potuto trovare accoglienza, tanto che si è sviluppata un’intera comunità cristiana; non solo, ma il Signore ha anche voluto arricchirla di vari doni particolari! Il primo sentimento che emerge da parte di Paolo, dopo il saluto, è quello di un grato stupore: egli guarda al passato e a tutto quello che è accaduto e vi riconosce l’azione di Dio. Pensare alla comunità per Paolo è, in primo luogo, ringraziare il Padre per tutto ciò che proviene da lui e che giunge agli uomini per mezzo di Cristo. Quanto al presente, i cristiani di Corinto continuano a sperimentare una vera e propria abbondanza di doni celesti. Paolo qui accenna ai carismi della parola e della conoscenza; più avanti parlerà di vari fenomeni estatici e di rivelazioni “profetiche”. Fra tanti segni della presenza divina, c’è spazio per desiderare altro? Assolutamente sì! Infatti, se Pao-
(Is 63,16b.17.19b; 64,2-7; Sal 79; 1Cor 1,3-9; Mc 13,33-37)
lo ha deciso di scrivere è perché la Chiesa di Corinto vive anche delle difficoltà, come il non saper armonizzare i carismi che il Signore ha donato, creando tensioni e discordie. I doni non sono il fine, ma solo uno strumento; la meta, invece, è la comunione piena con Cristo. Così il presente si qualifica come tempo dell’attesa di Cristo. Paolo usa a questo proposito due immagini: la “manifestazione del Signore”, che si riferisce all’apparire ultimo di Cristo nella sua gloria di Risorto: ora egli è presente senza che lo vediamo, ma verrà un tempo in cui lo sperimenteremo pienamente. L’altra immagine è quella del “giorno del Signore”, che si ricollega al “giorno del giudizio”, in cui il Signore Gesù sarà giudice del mondo e della storia: non semplicemente nel senso di una separazione dei buoni dai cattivi, ma nel senso di una restaurazione completa del bene, in tutte le sue dimensioni. È una meta, anzi è “la” meta. Sarà possibile raggiungerla? Sì, perché non riposa sulle nostre capacità, ma sulla fedeltà di Dio. Chiara la traiettoria che Paolo delinea: il Padre «vi ha chiamati alla comunione con il Figlio suo» e il Figlio «vi renderà saldi fino alla fine». Ciò non significa che dobbiamo attendere, lasciando che sia solo il Signore a operare. La speranza cristiana è infatti un desiderio attivo, desiderio di comunione con Cristo fin da ora nel modo di pensare, di volere e di agire,
in vista della comunione piena. Il vero discepolo è colui che attende e spera in questo modo, e si fa testimone di speranza nel mondo in cui vive.
Celebrare L’ospitalità «Accoglietevi gli uni gli altri come Cristo accolse voi» (Rm 15,7). Con questa espressione, l’apostolo Paolo esorta la comunità cristiana a custodire uno dei valori fondamentali del Vangelo: l’accoglienza. Essa non è solo l’esercizio di una virtù cristiana da mettere in atto quando qualcuno bussa alla porta della nostra casa o dell’ufficio parrocchiale. L’accoglienza è uno stile di vita, un dono «che viene dall’alto» (cfr. Gc 3,17). Il Signore Gesù si presenta a noi come Colui che domanda di essere accolto: è la Parola discesa dal cielo che «venne tra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto» (Gv l,11); è il forestiero che si affianca a noi sulle strade della vita (Lc 24,18); lo Sposo che bussa alla porta (Ct 5,2); l’affamato, l’assetato, il forestiero, l’indigente, il malato, il carcerato (Mt 25,35). Accogliere è l’espressione grata e stupita di chi riceve un dono inaspettato e, per questo, è colmo di gratitudine (cfr. Rm 5,8); è il gesto riconoscente di chi è stato invita-
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to senza merito (cfr. Ap 19,9). Chi nella vita ha scoperto di essere stato accolto gratuitamente da Dio sa riconoscere nell’ospite la presenza misteriosa della visita divina. Nella celebrazione eucaristica, “i riti di accoglienza” non conoscono uno schema rituale definito e stereotipato, ma costituiscono il necessario atteggiamento con cui si partecipa alla liturgia. Solo il rito del Battesimo conosce uno spazio (la porta o il sagrato) e dei gesti (le parole di saluto del presbitero, la scelta del nome dato al bambino, il segno di croce) attraverso cui l’accoglienza assume un carattere più rituale. Accogliere è il gesto fraterno del pastore che, salutando i presenti alla porta, manifesta il volto ospitale della Chiesa. L’accoglienza liturgica domanda uno spazio, è perciò necessario tornare a progettare delle chiese che permettano un incontro fraterno e gradevole dove potersi radunare e salutare. L’accoglienza liturgica si esprime attraverso il “pronunciamento di un nome”: essere chiamati per nome, esprime l’esigenza sempre più urgente di formare delle comunità autenticamente familiari, in cui ciascuno possa essere riconosciuto e invitato. L’accoglienza si esprime con il gesto semplice e profondo del segno della Croce: chi varca la porta della chiesa traccia su di sé il gesto pasquale con il quale è stato accolto nella comunità cristiana. Oggi praticare l’accoglienza eucaristica è il gesto profetico della comunità cristiana che abbatte i muri della diffidenza e dell’odio
per fare spazio alla visita di Colui che per accogliere alla sua tavola si ferma sulla soglia e attende: «Ecco: io sto alla porta e busso. Se qualcuno mi apre, io cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20). Tu ci hai nascosto il giorno e l’ora, in cui Cristo tuo Figlio, Signore e giudice della storia, apparirà sulle nubi del cielo… Ora egli viene incontro a noi, in ogni uomo e in ogni tempo, perché lo accogliamo nella fede e testimoniamo nell’amore la beata speranza della tua gloria. (Prefazio di Avvento I/A)
Testimoniare La Parola di Dio... «Aspettiamo la manifestazione del Signore» «La testimonianza di Cristo si è stabilita tra voi così saldamente, che nessun dono di grazia più vi manca, mentre aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo. Egli vi confermerà sino alla fine, irreprensibili nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo: fedele è Dio, dal quale siete stati chiamati alla comunione del Figlio suo Gesù Cristo, Signore nostro!» (1 Corinti 1,6-9). ...testimoniata dagli ultimi Capitava che, dopo aver visitato la comunità di accoglienza per donne disa-
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giate in cui vivevamo con tutta la nostra bile quante possibilità di relazioni faccia famiglia, qualcuno ci dicesse: «Siete nascere il mostrare le proprie debolezze. proprio bravi a prendervi cura di que- (Una famiglia accogliente) ste persone!». In realtà con il passare del tempo era sempre più chiaro per noi ...ci converte che non c’entrava nulla l’essere o non La testimonianza di Cristo si è fatessere bravi, anzi... cercando, a volte ta, per questa famiglia, stile quotidiano. molto goffamente, di chinarci sul biso- Come dice San Paolo «si è stabilita tra gno dell’altro mettevamo a nudo i nostri voi così saldamente, che nessun dono di bisogni, ci scoprivamo bisognosi di di grazia più vi manca». All’inizio di imparare a guardare e ad ascoltare, ci quest’Avvento, proviamo a interrogarci. scoprivamo non autosufficienti. Ripen- Aprire la porta agli altri – nelle piccole o sando a quegli anni il sentimento più grandi scelte, condividendo povertà e ricforte è la gratitudine per le persone con chezze, moltiplicando relazioni – è poscui abbiamo fatto un pezzo di strada in- sibile a tutti, non solo a chi, come questa sieme. Una delle esperienze che hanno famiglia, ha fatto dell’accoglienza agli segnato la nostra vita è stata la scelta di “ultimi” un impegno di vita. vivere accanto ad altre due famiglie con Vivendo così, si costruisce comunità, la “porta aperta”, con una lavanderia e un si testimonia l’amore di Dio... grande terrazzo in comune: stare accanto nella quotidianità dei giochi dei bimbi, ...si fa preghiera del caffè di metà mattina come occasione Signore, aiutaci ad aprire la porta di di scambio di pensieri e preoccupazioni, casa, perché chi entra possa percepire della cipolla che manca e che ci chiede di la tua presenza nella nostra vita. Rendiessere inopportuni, e del: «Esco, ti serve ci attenti e accoglienti alle necessità dei qualcosa?»... più poveri. Un intreccio di cammini, di vite diverse ma disponibili a giocarsi nel confronto con gli altri. Un allenamento ad Preghiera aprirsi con più elasticità anche della famiglia al collega d’ufficio, ai figli intorno alla mensa in difficoltà nella fatidica Riuniti intorno alla mensa in questa prima adolescenza, all’altro che ci interpella... E quando domenica di Avvento, noi vogliamo iniziare insieme arriva un nuovo vicino il nostro cammino incontro a te, Signore, di casa, il modo naturache vieni per ridare luce e gioia alla nostra vita. le di accoglierlo diventa Donaci di ascoltare con fiducia la tua Parola, quello di domandargli: perché possiamo riconoscere la tua presenza «Scusa, non avresti per e accogliere i nostri fratelli nel tuo nome. caso due uova?». È incredi-
A te la gloria nei secoli eterni. Amen.
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«Consolate il mio popolo»! C’è un grido di consolazione perché qualcuno soffre. Israele, il popolo di Dio, sta vivendo un periodo di insicurezza e grande sconforto. L’impero babilonese si è espanso e ha conquistato la Giudea. Siamo nel VI sec. a.C.: il re babilonese Nabucodònosor entra a Gerusalemme, profana il Tempio e lo distrugge, rade al suolo la città; gruppi di ebrei vengono deportati a Babilonia e con essi anche il re. I tre pilastri su cui si fondava l’identità sociale, politica e religiosa del popolo sono crollati. Ancora una volta, Israele fa l’esperienza traumatica della sottomissione a un dominio straniero. Questo è avvenuto a causa del peccato del popolo, che ha seguito altri dèi e ha abbandonato il Signore. In questa situazione di sofferenza, incertezza e oppressione il Signore, attraverso il profeta Isaia, grida il suo messaggio di consolazione. L’uomo-profeta deve «parlare al cuore di Gerusalemme» e di ogni uomo,
(Is 40,1-5.9-11; Sal 84; 2Pt 3,8-14; Mc 1,1-8)
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deve incoraggiare coloro che sono preda dello sconforto... ma sappiamo dall’esperienza che le parole non bastano. E questo lo sa anche Dio. Infatti in questo brano c’è qualcosa di più, si annuncia il cambiamento radicale di una situazione disperata e irreparabilmente compromessa. Solo Dio può compiere questa “missione impossibile” (cfr. Is 51,3), donando la vera consolazione: la fine concreta della schiavitù. Il peccato è stato espiato, il popolo verrà liberato e potrà tornare alla sua terra, come avvenne al tempo dell’esodo dall’Egitto. È stato necessario un “doppio castigo”, ma non dobbiamo pensare che il Signore si divertisse a punire Israele. Alla base di questa terminologia sta il linguaggio legale: in Israele il ladro doveva restituire il doppio di ciò che aveva rubato (cfr. Es 22,3). In pratica, bisognava riparare il male commesso e questa riparazione aveva valore di educazione. Questa è la pedagogia divina: la sofferenza educa (cfr Eb 12,7-13). Il “doppio castigo” non è altro che la dura esperienza dell’esilio, in cui Israele vive l’esperienza triste e penosa di chi ha abbandonato Dio. Ma ora il Signore ha stabilito di venire a salvare il suo popolo. Farà tutto lui? Le esortazioni presenti nel brano evangelico (“preparate”, “appianate” …) dicono che l’uomo deve fare la sua
2 parte e predisporre una strada sgombra e piana. La strada è la vita, il modo di comportarsi, la disposizione del cuore. Nell’Avvento la figura di Giovanni il Battista (Vangelo) ci ricorda che questa buona disposizione è sostanzialmente la conversione: decidere per la libertà significa convertirsi a Dio, voltare dalle strade tortuose e sconnesse del peccato per imboccare la via larga, spaziosa e piana dell’amore. Chi decide per la libertà – dice il profeta – è sicuro di vedere la gloria di Dio, ma chi vuole restare in esilio non la vedrà. Ma cos’è la “gloria”? Il termine ebraico corrispondente significa “essere pesante”. Quando diciamo che una persona ha “peso” (ad esempio) nella società, vogliamo indicare che, con la sua parola e la sua azione, ha un effetto sulle persone, incide sulla società, ne cambia la situazione vitale. La gloria del Signore, quindi, è Dio stesso che interviene nella storia del suo popolo per salvarlo concretamente. Il Natale celebra proprio la venuta di Dio “in carne e ossa”, nel mondo e nella nostra vita: Dio entra nella storia come re e pastore, per guidare gli uomini. Ecco la vera libertà: passare dal dominio di Babilonia al dominio di Dio. Questo è un dono e un impegno: Dio viene a liberare il suo popolo, ma deve trovare accoglienza.
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Celebrare La porta aperta Come in ogni casa vi è una porta, così ogni chiesa ha il suo portale e i suoi “riti della soglia”. La porta è uno dei luoghi fondamentali dell’abitazione, essa infatti costituisce un elemento che la identifica. Quando un bambino disegna una casa, non dimentica mai di farci una porta! Poiché essa, non è solo una soglia da attraversare, ma è il luogo a partire dal quale si definisce lo spazio dell’intimità. La porta è il limite che custodisce la differenza tra il dentro e il fuori, che stabilisce la relazione tra la famiglia e gli estranei. Anche la Chiesa ha bisogno di una porta per poter essere se stessa: la porta infatti è Cristo: «se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo» (Gv 10,9). Nella tradizione cristiana, la simbologia della porta è così importante da definire il sacramento stesso del Battesimo: esso è la porta della vita (CCC 1213; Cabasilas, La vita in Cristo), attraverso di lui si spalanca per noi il regno dei cieli. La porta della chiesa è sempre aper-
ta, poiché l’invito al banchetto delle nozze dell’Agnello è rivolto a tutti, ma solo a chi è passato attraverso la morte e risurrezione di Cristo è dato di poter entrare nel Regno di Dio: «Se uno non rinasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio» (Gv 3,5). La porta della chiesa è dunque sempre spalancata per ogni uomo e per ogni donna, ma non a tutti è dato di entrare. Per passare è necessario oltrepassare una soglia, prendere una decisione, operare una scelta che inevitabilmente provoca un cambiamento. La soglia ci trattiene, ci costringe a fare una sosta, a prendere consapevolezza, è quell’istante sospeso tra un passato, ormai alle spalle, e un futuro che non c’è ancora. È accettare di andare incontro ad una situazione nuova, promessa, desiderata, ma non ancora compiuta. È l’istante in cui la decisione genera fiducia, abbandono, apertura all’incontro con l’Altro. Oggi più che mai, le nostre comunità cristiane hanno bisogno di riscoprire il senso della porta e del necessario passaggio tra il fuori e il dentro. Quando si smarrisce il senso della soglia infatti, non si comprende più la differenza tra l’essere lontani o vicini, essere estranei o familiari, tutto si appiattisce in una specie di indifferente convivenza. È infatti, la soglia che regge il frammento dove
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7 dicembre 2008 i due si separano e si incontrano (M. Heidegger) e quando essa scompare, anche l’alterità è annullata. L’intimità è resa possibile solo nella differenza e la porta ne è la custode. Ogni domenica, ci è chiesto di arrivare davanti a una porta che è sempre aperta per noi, attraverso il suo passaggio abbiamo la possibilità di scegliere, ancora una volta, di morire al peccato per rinascere a una vita nuova. Lì, sulla soglia, si rinnova la memoria del gesto che ci ha rigenerati: il segno della Croce e l’acqua benedetta e si spalanca davanti a noi la tavola del Regno (Ap 7,14).
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«Benedetto sei tu, Signore, Padre santo, che hai mandato il tuo Figlio nel mondo per raccogliere in unità, mediante l’effusione del suo sangue, gli uomini lacerati e dispersi dal peccato. Tu lo hai costituito pastore e porta dell’ovile, perché chi entra sia salvo, e chi entra ed esce trovi i pascoli della vita. Dona ai tuoi fedeli che varcano questa soglia, di essere accolti alla tua presenza, o Padre, per il Cristo tuo Figlio in un solo Spirito». (Benedizione della porta di una chiesa)
2 Testimoniare La Parola di Dio… «Si rivelerà la gloria del Signore» «Nel deserto preparate la via al Signore, appianate nella steppa la strada per il nostro Dio. Ogni valle sia colmata, ogni monte e colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in pianura. Allora si rivelerà la gloria del Signore e ogni uomo la vedrà, poiché la bocca del Signore ha parlato». (Isaia 40,3-5) …testimoniata dagli ultimi Una notte all’aperto, in piazza, per capire, condividere, con chi, sulla strada, vive tutto l’anno. Non c’è stato freddo e non ha piovuto. La rigidità del suolo è stata tollerabile per il tempo di permanenza, tenuto conto probabilmente del letto della sera prima e di quella successiva. Il vento si è rivelato, però, portatore di “oggetti indesiderati”…, un aspetto a cui, ingenuamente, non avevo pensato. Il fattore che, tuttavia, più di ogni altro ha segnato l’esperienza è stata la relazione con il resto della cittadinanza. Con chi passava di lì, intendo dire. Nessuno ha chiesto notizie durante la fase orizzontale del programma. Più di un passante lo ha fatto prima
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e dopo. C’è da dire che, frequentemen- i monti» per capire cosa voglia dire te, chi attraversava la piazza durante essere “senza dimora”. Pur tornando il tentativo di sonno, ha inteso farcelo presto alle nostre comodità, aver absapere. La fantasia della comunicazio- battuto provvisoriamente gli steccati ne umana non ha confini. Ne ho avuto ci dà qualche consapevolezza in più e prova quando un gruppo di giovani, apre la strada a gesti di condicorrendo, ci è passato accanto visione e non più di sola al grido di “sveglia, sveglia, beneficenza. sveglia!”. Quando una copUsciamo dalle nopia ha lanciato una scarpa stre comode abituverso di noi, per consendini, proviamo a tire al cane di riportarla renderci disponialla padrona. Quando un bili per un servicoro ha intonato il verso zio a una mensa, del gallo, simulando l’ala un dormitorio, a ba, forse ingannato dalla una casa famiglia, potente luce ininterrottacome primo passo mente erogata dai riflettori. per conoscere chi fa Gli stessi il cui poderoso efpiù fatica e superare la fetto ho ammirato nei mesi pretentazione di facili giudizi. cedenti. Ne ho avuto prova, dicevo, quando, verso le cinque ormai, due …si fa preghiera passanti ci hanno salutato ad alta voce, Signore, tu che non sapevi “dove chiedendo di poter bere dalla mia bot- posare il capo”, proteggi chi non ha tiglia d’acqua e informandosi, questi casa, chi l’ha persa, chi teme di finire sì, dell’evento che si stava consuman- sulla strada e sostienici sulla difficile do davanti ai loro occhi. strada della condivisione. Ho avuto il tempo di rientrare a casa, prima di recarmi al lavoro. Mi sono lavato e mi sono camPreghiera biato. Ho attraversato della famiglia subito la piazza, dove intorno alla mensa non c’erano più segni evidenti del Noi ascoltiamo la voce di Giovanni Battista, nostro bivacco. che ci invita a preparare la strada al Signore. Eppure quelle pieAiutaci, Signore, a colmare le valli della nostra tre mi sono parse miseria e le montagne della nostra superbia, diverse.
perché possiamo riconoscere la tua gloria che si rivela a noi per ravvivare la nostra speranza.
…ci converte Si può provare, anche solo per una notte, a «colmare le valli, abbassare
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«la potenza dell’altissimo ti coprirà» (Gn 3,9-15.20; Sal 97; Ef 1,3-6.11-12; Lc 1,26-38)
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Madre del Figlio di Dio. Con il suo “Sì” all’annuncio dell’angelo, Maria accetta una maternità che segnerà in maniera straordinaria il seguito della sua vita. Anzi, che aveva già segnato, in maniera non meno straordinaria, anche tutto il suo passato. Fin dal primo istante di vita, infatti, Maria è stata preservata dalla ferita e dagli effetti del peccato originale, proprio in vista del compito inaudito che, più tardi, le sarebbe stato chiesto. Il cosiddetto peccato “originale” (I lettura) è stato il primo “No” dell’uomo nei confronti di Dio, il primo atto di diffidenza e di disobbedienza che ha aperto un fossato tra la creatura e il suo Creatore, tra Dio e l’umanità. In Maria, Dio ha gettato un ponte su questo fossato, in modo che una creatura potesse finalmente pronunciare un “Sì” pieno e fiducioso alla venuta
del Redentore. C’è dietro un progetto di amore del Padre verso gli uomini, di quel Padre che, attraverso il Figlio, ci ha salvati e ci ha colmati di ogni benedizione (II lettura). Il racconto evangelico dell’Annunciazione ci rappresenta la Vergine mentre prende coscienza della sua missione e sceglie di accettarla. Luca accenna al turbamento iniziale di Maria, al suo riflettere tra sé e sé, al suo chiedere con meraviglia, al suo accettare con disponibilità: il lettore viene dunque informato circa i pensieri, i sentimenti e le decisioni di lei. A ben guardare, però, l’interiorità di questa giovane donna è tratteggiata in maniera molto sobria ed essenziale: l’interesse principale del narratore non sembra dunque andare in questa direzione. In effetti, lo spazio maggiore del racconto è occupato dalle
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parole dell’angelo: è qui che dovremo orientare principalmente la nostra attenzione. Tre volte Gabriele prende la parola. All’inizio pronuncia un saluto enigmatico, rivolgendosi a Maria con l’epiteto di «piena di grazia», o meglio, letteralmente: «che è stata ricolmata di grazia (da Dio)». Soltanto in seguito, quando si rivolgerà a lei per la seconda volta, Gabriele la chiamerà con il nome proprio: «Maria»; ma prima ancora ella è la “piena di grazia”, colei che è stata resa bella da Dio. In questa bellezza donata – più ancora che nel nome – sta la sua identità più profonda e più vera. Poi l’angelo parla della grandezza del bimbo che dovrà nascere da lei: in ciò che Gabriele dice, si sente l’eco di antiche profezie. Nel passato il popolo aveva sentito a più riprese il bisogno di una stabilità politica, per sopravvivere tra i popoli vicini. E Dio, da parte sua, aveva promesso stabilità alla casa regnante (2Sam 7,13-16; Is 7,14). Ora qui Dio supera le precedenti promesse: egli sta per donare un re che “regnerà per sempre”. È un futuro ancora avvolto di mistero, ma è un futuro straordinario; non a caso è Dio stesso che lo sta preparando. A Maria, che chiede spiegazioni su ciò che ancora non può comprendere, l’angelo anticipa che il bimbo, che da lei nascerà, non verrà da seme umano, ma dalla potenza di Dio. Verrà cioè da quello Spirito che aleggiava sulle acque all’alba della creazione, e che ora scenderà su di lei, avvolgendola
interamente (l’immagine dell’ombra che copre, vuol appunto esprimere il mistero della presenza divina). Bimbo santo, perché Figlio di Dio. Le parole di Gabriele hanno così inquadrato il mistero di Gesù, dalla sua origine divina fino al suo eterno regnare. Questo era l’intento principale di Luca: nel parlarci di Maria, voleva concentrare la nostra attenzione sul progetto e sull’agire di Dio (del Padre, dello Spirito e del Figlio). Maria Vergine, coinvolta in maniera straordinaria in questo progetto, è segno e motivo di speranza: in lei si rende visibile il cammino della grazia di Dio dentro la nostra storia. Il “Sì” straordinario di Maria, che apre la strada al Redentore, è la risposta positiva a un “Sì” precedente, e ancor più straordinario, detto da Dio nei confronti dell’uomo.
Celebrare La processione d’ingresso Quando ci incamminiamo verso un luogo, muoviamo i nostri passi in una determinata direzione; la meta infatti, prima ancora d’essere raggiunta, già traccia in noi una via, diviene un orientamento esistenziale: il corpo, i pensieri, i sentimenti corrono verso
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il luogo prescelto suscitando attese, alimentando desideri, accelerando il passo, ecc. Nella nostra vita, camminare verso una meta non rappresenta solo un esercizio necessario, da affrettare e accorciare il più possibile, esso invece è il tempo indispensabile per maturare delle scelte, per prendere consapevolezza della propria decisione, è quell’istante sospeso tra un prima e un dopo che dona pienezza di senso alle cose. Nell’uomo e nella donna, l’orientamento è così radicato da determinare ogni scelta in ordine alla gestione dello spazio: l’alto e il basso, l’est e l’ovest, il dentro e il fuori, il centro e il bordo. Anche nella liturgia, lo spazio santo viene ordinato secondo un preciso senso: quello che inizialmente orienta la celebrazione liturgica è la processione di ingresso. Nella liturgia eucaristica sono presenti quattro processioni, che ritmano i diversi momenti della Celebrazione eucaristica: quella di ingresso; al Vangelo, alla presentazione dei doni (offertorio), alla comunione. Nella liturgia, la processione rive-
ste un particolar significato: segna il passaggio da un luogo a un altro, da un tempo a un altro; essa sospende il ritmo della celebrazione per invitare i presenti a compiere dei graduali percorsi di avvicinamento. Sono come delle tappe che progressivamente ci conducono all’incontro con Dio. Tra le diverse processioni, quella di ingresso ha il compito di condurre i presenti a compiere il primo passo, essa è dunque la più faticosa: ma il sentiero è già tracciato e qualcuno ci precede. Nella processione di ingresso infatti, la via è tracciata dalla Croce e il pastore guida il suo popolo verso il luogo del raduno. Nel Messale Romano, la processione di ingresso non è riservata solo a particolari solennità o tempi liturgici, ma costituisce il passo fondamentale che apre tutti i riti di ingresso. Essa inizia dalla porta della chiesa e giunge davanti all’altare; la Croce, accompagnata dai ceri, apre la via, seguita dai ministranti, dal vescovo o il presbitero. La processione di ingresso orienta il cammino smarrito e faticoso dell’uomo, aprendo una via nuova. Il Signore guida i nostri passi e ci invita a camminare lieti verso l’incontro con Lui.
«[Il Signore Gesù] al suo primo avvento nell’umiltà della nostra natura umana portò a compimento la promessa antica, e ci aprì la via dell’eterna salvezza. Verrà di nuovo nello splendore della gloria, e ci chiamerà a possedere il regno promesso che ora osiamo sperare vigilanti nell’attesa». (Prefazio di Avvento I)
Testimoniare La Parola di Dio… «La potenza dell’Altissimo ti coprirà» «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo; colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio». (Luca 1,35-37) …testimoniata dagli ultimi Martina, ventidue anni, da tre in Italia, arriva dalla Moldavia. Un lungo
viaggio e poi Napoli, piazza Garibaldi. Il sogno di un lavoro, di una vita felice piena di belle cose. Un appartamento a pochi passi dalla stazione. La prostituzione. Il “lavoro” dalle otto di mattina alle dieci di sera. “Si poteva uscire a mangiare una pizza, ma sempre insieme alle altre. Sempre sorvegliate, anche quando si telefonava a casa. Poche parole per dire che tutto va bene”. La tenutaria incassava i millecinquecento euro settimanali trattenendone il 50% e inviando l’altro 50% in Moldavia agli intermediari che l’avevano adescata nel ristorante dove lavorava per pochi soldi. Di quel guadagno a lei quasi nulla. Nell’appartamento, vicino alla stazione, sei giovani donne. I clienti tutti italiani, di tutte le età, quasi tutti sposati. Poi il trasferimento in un appartamento del Centro Direzionale, sempre a Napoli. Sotto Natale la “domanda”, chissà perché, si incrementa e la polizia fa retate. Dal Centro Direzionale a Ravenna, sulla strada del mare. Stessa vita, stessa violenza, stessa solitudine e tante paure. Martina, dopo alcuni mesi, viene rispedita a Napoli. L’idea di tornare in quell’appartamento, in quella prigione oscura, ostaggio di uomini incolti e violenti, la terrorizza. Decide di denunciare, nonostante una
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8 dicembre 2008 per loro possa apparire all’orizzonte l’alba di una speranza nuova. (Sorelle della Comunità Rut - Caserta) …ci converte Nulla è impossibile a Dio: la storia di questo incontro fra donne che sanno, come Maria, attendere, abbracciare, rendersi presenti e generare così altre donne “nuove”, capaci di moltiplicare la solidarietà, ci insegna a credere che possa esserci sempre un’altra opportunità per tutti, a partire da noi che ci sentiamo “a posto”. Perdonare, dare un’altra opportunità: quando e dove siamo chiamati anche noi a questo atto di amore? …si fa preghiera Signore, rendici capaci di abbracciare e farci abbracciare da chi ci sta intorno, sostieni chi si adopera perché nessuno sia perduto.
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Preghiera
della famiglia intorno alla mensa Maria, tu hai accolto la Parola di Dio, paura da morire, per sé, la famiglia, la sorella più giovane lasciata in Moldavia, pericolosamente esposta. Poi l’incontro con un poliziotto che le parla di una casa di accoglienza, di suore che accolgono e proteggono. Chiede rifugio. In quella casa scopre di aspettare un bambino. È tentata di abortire. Ma
l’abbraccio di vita respirato in quella nuova “dimora” le dà forza e l’aiuta a tenere la bambina che oggi ha tre anni. Ad agosto, con lei, tornerà per la prima volta a casa per incontrare la sua famiglia. Ora Martina è socia-lavoratrice nella cooperativa sociale “Newhope” (Nuo-
va speranza) e ha un hai aperto il cuore al suo disegno su di te guadagno dignitoso. Ha e sei divenuta Madre di Gesù e Madre nostra. ancora alcune paure, ma In questo cammino di Avvento ha anche un sogno: divenrendi la nostra famiglia tare imprenditrice per dare più disponibile ad ascoltare il Signore lavoro a tante giovani donne e a riconoscere il suo amore per noi. migranti, violate sulla strada, Ave o Maria, piena di grazia… sue sorelle e amiche, perché anche
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«egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce» (Is 61,1-2.10-11; Cant. Lc 1,46-50.53-54; 1Ts 5,16-24; Gv 1,6-8.19-28)
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Mentre il brano con cui inizia il Vangelo di Giovanni sembra raggiungere il suo culmine per poeticità e ricchezza teologica, mentre i nostri occhi sembrano perdersi nella contemplazione del Verbo di Dio, lo stesso evangelista Giovanni invita il lettore a spostare l’attenzione dal mistero appena delineato alla figura di un «uomo mandato da Dio» di nome Giovanni. Nulla è detto della sua origine o della sua famiglia. Non viene presentato né come Precursore né come Battista e, a differenza di quanto riferito nei Sinottici, non è colto nelle vesti del predicatore di penitenza e di conversione. Egli è semplicemente un uomo che ha come unica qualifica l’essere un inviato; non viene per propria iniziativa, ma è mandato come gli
uomini di Dio dell’Antico Testamento. Per di più, essere inviato da Dio è una qualifica che il quarto Vangelo riserva essenzialmente a Gesù e al Paràclito (3,17; 5,38; 14,26; 15,26; 16,7) e questo risalta l’importanza dell’eccezionale missione del nostro personaggio. Con poche pennellate è delineato lo scopo dell’invio di Giovanni: «Egli venne come testimone» (1,7). L’evangelista introduce così, fin dall’inizio, uno dei temi caratteristici del suo Vangelo che si presenta, nel suo insieme, come una testimonianza che genera la fede nei lettori (l’autore stesso si definisce come «il discepolo che rende testimonianza» in 21,24). Così il Verbo, presentato qualche versetto più sopra come luce che splende nelle tenebre
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senza che esse costituiscano un ostacolo («le tenebre non l’hanno vinta» Gv 1,5), trova in Giovanni un «testimone». Figura profetica di frontiera e di ponte tra AT e NT, che battezza «al di là del Giordano» dove Dio aveva posto il limite alla vita del grande profeta Mosè (cfr. Dt 31,2), egli partecipa in qualità di testimone all’avvento della luce. Il suo compito è uno solo: risvegliare il desiderio della luce, provocare l’attesa della vita, orientare (o ri-orientare) gli uomini verso la luce che già ha iniziato a risplendere. Così, come già il prologo aveva detto, egli testimonia che quella luce è il Verbo fatto carne, colui che «venne ad abitare in mezzo a noi» (1,14). Ciò che guida tutta la sua missione è la consapevolezza di dare «voce» a ciò che non è suo, a ciò di cui lui non è il proprietario, di preparare la via a un Altro che è dopo di lui solo in senso cronologico. Perciò come fin dall’inizio, a scanso di equivoci, è stato detto che «egli non era la luce» (1,8), così nei versetti seguenti l’evangelista descrive Giovanni nell’atto di rendere testimonianza davanti agli ufficiali di Gerusalemme, ai suoi discepoli, a tutto Israele in un evidente clima generale di attesa messianica, che aveva più volte portato allo scontro con le autorità romane. Perciò le domande degli interlocutori (mandati dai farisei) centrano subito la questione: «Chi sei?», «Cosa dici di te stesso?» (1,22). Giovanni, rifiutando tutti i ruoli e l’importanza che gli si vuole attribuire, non
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esita a definirsi semplicemente come un araldo, facendo convergere tutta l’attenzione su «colui che viene». Solo Gesù, sul quale dimora in pienezza lo Spirito Santo, potrà applicare a sé, in modo legittimo, l’oracolo di Isaia (I lettura), ed essere proprio lui «come uno sposo che si cinge il diadema» (Is 61,10). Giovanni il precursore è allora, a buon diritto, «l’amico dello sposo» (Gv 3,29), colui che gli è accanto, lo ascolta, sa riconoscere la sua voce e sa indicare agli uomini in qualità di testimone della luce vera che è apparsa nel mondo, quella luce «che illumina ogni uomo» (Gv 1,9).
Celebrare Il vestito della festa Ogni festa ha i suoi linguaggi e i suoi riti: essa necessita di un luogo debitamente addobbato, della partecipazione degli invitati, dell’abbondanza del cibo e delle bevande, del coinvolgimento nel gioco e nella gioia. Soprattutto, però, presuppone un evento di cui fare memoria e che viene consumato insieme, proprio attraverso questi riti. Infatti, le feste più vere e partecipate sono quelle che celebrano i momenti più importanti e significativi della vita: la nascita, la crescita, le scelte della vita, la morte.
La Liturgia cristiana fa della festa il suo vestito; è la forma che ama indossare per poter esprimere il suo volto più autentico; e una comunità radunata per celebrare con gioia la Pasqua del Signore. Non c’è infatti Liturgia senza comunità, senza gioia e cibo, canto e gioco. Ma come ogni festa, anche la Liturgia presuppone la memoria di un evento: «Il Signore è risorto ed è qui in mezzo a noi»! Nella Celebrazione Eucaristica, i riti di ingresso hanno inizio quando il
popolo è radunato (Ordinamento Generale del Messale Romano, n° 47). Con questa espressione, che attraversa tutto l’Antico e il Nuovo Testamento, si esprimere tutto il misterioso significato della convocazione. La comunità cristiana non è solo un insieme di persone che casualmente si ritrova in uno stesso tempo e in uno stesso luogo, non è costituita solo da individui affiancati gli uni agli altri: la Chiesa è comunità perché convocata dalla mano stessa di Dio. È Lui che la chiama per nome, è
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14 dicembre 2008 Lui che la convoca, è Lui che la conduce verso il luogo della sua dimora. Qui radunata, celebra l’evento che riempie di gioia il suo cuore: la memoria della passione, morte e risurrezione del Signore Gesù. È infatti la celebrazione che motiva il raduno, ma se i partecipanti non avessero nulla da festeggiare, si trasformerebbe presto in una triste e noiosa assemblea. Ogni domenica, si rinnova per noi l’invito a partecipare alla festa del Regno, il Signore ci chiama per nome, la forza della sua voce rompe i muri della diffidenza e della solitudine che portiamo nel cuore. All’inizio di ogni liturgia è dunque necessario schiudere le orecchie e aprirsi alla voce che ci chiama e ci costituisce in unità, solo così la festa potrà accendersi e far gioire il cuore di fronte all’annuncio della gioia pasquale.
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«O Dio, Padre degli umili e dei poveri, che chiami tutti gli uomini a condividere la pace e la gioia del tuo regno, mostraci la tua benevolenza e donaci un cuore puro e generoso, per preparare la via al Salvatore che viene». (Colletta, III domenica di Avvento, anno B)
Testimoniare La Parola di Dio… «Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce». Giovanni rispose loro: «Io battezzo con acqua, ma in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, uno che viene dopo di me, al quale io non sono degno di sciogliere il legaccio del sandalo». (Giovanni 1,26-27) …testimoniata dagli ultimi Come ogni anno il cappellano degli zingari ha organizzato una Messa per tutti i defunti. La piccola cappella è semivuota e abbiamo appena finito di ascoltare la lettura del vangelo. Proprio in quell’istante si iniziano a udire delle voci. Dal silenzio spuntano due famiglie di Rom della Romania e la chiesa si ripopola e prende vita; mentre il prete predica l’omelia, Alina allatta il suo bambino. Al momento dell’offertorio il prete spiega che la parrocchia sta raccogliendo offerte per i bambini del Bangladesh e tutti si alzano e con indosso le gonne lun-
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…ci converte ghe e i vestiti sporchi e modesti Come Giovanni, posvanno a mettere qualcosa nel siamo indicare Gesù che cestino, mentre Alina allatta viene nel mistero del Nail suo bambino. Siamo tutti tale, provando a testimouguali. niare la sua Parola. Il serAl compimento dell’anno di vizio civile è un’occasione catechesi anche dodici piccoli preziosa che aiuta i giovani Rom ricevettero la cresima, ma dal a capire meglio se stessi nella vicigiorno seguente nessuno chiese loro di rimanere nel gruppo giovani della nanza a chi fa più fatica, a sperimentare parrocchia e nessuno li invitò ad anda- condivisione e solidarietà. Ma occorre prepararsi: se lo stile re più in chiesa, perché erano arrivate lamentele da alcuni parrocchiani. Biso- familiare è improntato all’attenzione gnava proteggere i figli di Dio!… Ma agli altri, all’interno e all’esterno della famiglia, i bambini lo respirano da solo alcuni. Mi sento orgogliosa di essere qui subito e possono diventare adolescenti oggi. Forse solo guardando questi volti e giovani che accettano di “mettersi in ogni giorno e visitando queste abitazio- gioco” per gli altri. ni si può capire ciò che provo. Si fa presto al giorno d’oggi a parlare di quanto …si fa preghiera Signore, aiutaci a testimoniare la tua sia bello dare, ma bisogna chiedersi se all’altro si dà ciò di cui ha realmente bi- venuta con un atteggiamento di umile sogno. Spesso l’amara scoperta sta nel- condivisione delle difficoltà di tutti. la constatazione che chi soffre continua a soffrire anche quando sembra circondato da mille persone. Preghiera Troppo spesso si limita della famiglia il significato del dare a intorno alla mensa qualcosa di materiale. Che falsità. Dare siGiovanni Battista annuncia che sta per venire gnifica anche “Dare nel mondo la Luce vera, quella che illumina agli altri la possibilità ogni uomo. Aiutaci, o Padre, a preparare di donarsi a te”, peril nostro cuore, perché possiamo riconoscere ché per dare ci vuole il nel Bambino di Betlemme Colui che rischiara cuore, e il cuore non si il nostro cammino, che porta speranza dove compra… Bisogna solo c’è dolore e disperazione, e riempie riscoprirlo in sé. di gioia la nostra vita. (Una ragazza in servizio civile)
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«il mistero avvolto nel silenzio per secoli, ora è manifestato» (2Sam 7,1-5.8b-12.14.16; Sal 88; Rm 16,25-27; Lc 1,26-38)
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Questa domenica, che segna l’ultimo passo del cammino d’Avvento, ci pone di fronte al desiderio di Dio di abitare presso l’uomo. Infatti la prima lettura, tratta dal secondo libro di Samuele, ci narra come il re Davide volesse costruire il tempio, casa di Dio e come il Signore, in risposta a tale progetto, promette a lui un casato, che, grazie all’azione e alla fedeltà divina, sarà stabile per sempre e dal quale uscirà un re-salvatore. Il brano del vangelo secondo Luca ci mostra il compimento della promessa di Dio: egli entra nella nostra storia attraverso il frutto del grembo verginale di Maria, ella diviene il tempio nel quale Dio prende dimora. Infine nella seconda lettura, tratta dalla lettera di Paolo ai Romani, il Figlio di Dio, nato da Maria, rappresenta il rivelarsi del mistero di salvezza a
beneficio di tutti i popoli della terra. Questo ultimo brano, che porta a termine la lettera scritta dall’Apostolo alla comunità di Roma, è una “dossologia”. Si tratta di una forma letteraria con la quale si rende gloria a Dio per tutto quanto da lui ricevuto e che anche noi conserviamo nelle acclamazioni liturgiche della Messa (“Per Cristo” e “Tuo è il regno”) o nelle preghiere tradizionali (Gloria al Padre). La dossologia trae origine dalle benedizioni rivolte a Dio nell’Antico Testamento ed è ampiamente testimoniata nelle lettere paoline e nel resto del Nuovo Testamento. Il testo finale della lettera ai Romani intende riassumere tutto quanto Paolo ha scritto nella sua epistola e trasformarlo in una glorificazione di Dio. L’Apostolo si rivolge anzitutto a Dio,
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visto come colui che rende stabile il cammino della comunità di Roma, la quale, seppur abbia già accolto con frutto l’annuncio della fede, deve ancora crescere nella vita cristiana, in un contesto sociale ostile e minaccioso. Lo strumento dell’azione del Signore a favore dei Romani è proprio il vangelo presentato da Paolo nella sua lettera, il quale pone al centro il Cristo, annunciato ovunque dall’Apostolo lungo tutto il suo ministero missionario. In questa proclamazione si rivela il mistero di Dio, cioè il suo piano di salvezza, salvezza attesa da secoli, ma ora donata in Cristo. Ma come si giunge a conoscere tale assoluta novità? Per Paolo ciò avviene grazie alla lettura dei profeti che avevano preannunciato il Messia, essi conducono a scoprire che proprio in Cristo si compiono tutte le promesse di Dio a favore dell’intera umanità. Ecco perché l’Apostolo afferma, secondo quanto ha più volte ripetuto nella sua lettera, che i destinatari del vangelo sono ormai «tutte le genti» e non più solo i membri del popolo eletto, non essendo più richiesta, per giungere alla salvezza, l’obbedienza della legge mosaica, ma soltanto la fede in Cristo. In conclusione, non resta a Paolo che glorificare Dio per il suo piano di redenzione attuato in Cristo. Attraverso questo mistero è mostrata la sapienza delle sue vie, diverse da quelle dell’uomo. Dall’altra parte, ai destinatari di Roma e anche a noi lettori è richiesto di rispondere con
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l’«amen» della fede, così da esprimere l’assenso e la partecipazione alla dossologia presentata dall’Apostolo. La preghiera di questa domenica è dunque avvolta di stupore per l’Incarnazione del Figlio di Dio nella nostra vicenda storica e, nello stesso tempo, si carica della responsabilità missionaria per l’annuncio di Cristo nei confronti di tutti gli uomini.
Celebrare Il segno della croce Uno dei momenti più attesi dalla famiglia è l’istante in cui il bambino pronuncia per la prima volta il nome: mamma o papà. Una parola semplice, che esprime tutta la forza e l’amore di un reciproco riconoscimento. In realtà, il nome “mamma” o “papà”, non vuol dire nulla di per sé, se non quel suono che ha la forza di invocare la presenza unica e insostituibile dei genitori. A partire dal nome, il bambino sarà progressivamente iniziato a nominare tutte le cose che lo circondano e ad attribuire a esse un preciso significato. Anche la vita di fede ha il suo linguaggio, fatto di parole e gesti attraverso cui si realizza il dialogo tra Dio e
i suoi figli. Tra i gesti primordiali c’è il “segno della croce”. Di solito, è il primo segno di fede che ci è stato insegnato e con esso l’invocazione del Nome di Dio: Padre, Figlio e Spirito Santo. Non a caso, è il segno con cui la comunità cristiana accoglie il battezzando e, dopo la riforma liturgica, è il gesto compiuto all’inizio di ogni celebrazione. Cosa ci rivela il segno della Croce? Esso è un’opera della mano: quella parte del nostro corpo che con il suo gesticolare, accompagna di solito le nostre parole, che per noi rappresenta uno strumento indispensabile per il lavoro, che usiamo in caso di difesa o per esprimere tenerezza. La mano è, abitualmente, la prima parte di noi stessi che tendiamo quando ci relazioniamo con qualcun altro.
Nel segno della Croce, la mano è l’espressione di tutta la nostra persona aperta all’incontro con Dio; la mano, poi, tocca la fronte, il petto, le spalle, tracciando sul proprio corpo la via della Croce. Tutto il nostro essere prende nome dal gesto compiuto: il segno della Croce, infatti, ci identifica come cristiani. Il mistero dell’amore trinitario (del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo) si rivela così nel segno della Croce: per illuminare la nostra mente (la fronte), il nostro cuore (il petto), la nostra vita quotidiana (le spalle). Questo gesto va dunque tracciato bene, con ampiezza e lentezza, senza fretta e superficialità, esso ha il potere di invocare quel Nome che nominiamo e dal quale, nello stesso tempo siamo nominati:
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21 dicembre 2008 «Tu, Signore, sei nostro Padre; …noi siamo tuoi figli» (cfr. Is 64,7). «Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti glorifichiamo, per il mistero della Vergine Maria. Dall’antico avversario venne la rovina, dal grembo verginale della figlia di Sion è germinato colui che ci nutre con il pane degli angeli ed è scaturita per tutto il genere umano la salvezza e la pace». (Prefazio di Avvento II/A)
Testimoniare La Parola di Dio…
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«Il mistero avvolto nel silenzio per secoli, ora è manifestato» «A colui che ha il potere di confermarvi secondo il vangelo che io annunzio e il messaggio di Gesù Cristo, secondo la rivelazione del mistero taciuto per secoli eterni, ma rivelato ora e annunziato mediante le scritture profetiche… la gloria nei secoli dei secoli. Amen». (Lettera ai Romani 16,25-26a.27b) …testimoniata dagli ultimi Io scappavo, sono sempre scappato, già da piccolo. Poi mi prendevano, quante volte sono finito in riformatorio! Rubavo i motorini, mi facevo un giro e poi li lasciavo! Mi prendevano e poi scappavo! In famiglia eravamo tanti fra-
telli, nove mi sembra. Poi a 17 anni sono scappato davvero. Ho preso un treno e sono venuto al Nord, a Milano. Sa cosa ci vuole per vivere 22 anni sulla strada? Il fisico! Io ho vissuto 22 anni sulla strada, notte e giorno, estate e inverno, da sano e da malato! Qualche volta, quando stavo male, andavo al Pronto Soccorso, un po’ mi curavano, ma... uno come me! Qui al Centro d’Ascolto mi davano un po’ da mangiare, anche pasta e pomodoro, perché io ero organizzato, avevo il mio fornelletto, la mia pentola, la pasta me la cucinavo. Mi davano anche il vino, quando stavo male e non ne potevo fare a meno. Un giorno mi hanno proposto di prendere un cappuccino anziché il vino e, perché no, ho accettato. Poi, ma dopo tanto, non ne potevo più. Sono venuto e ho detto «aiutatemi a togliermi dalla strada». Mi hanno detto che dipendeva da me: se volevo togliermi dalla strada dovevo smettere di bere. Però intanto mi hanno trovato un alloggio, una stanza con un cucinino e un bagno, da un parroco. Ci vivo ancora adesso! Si immagini un po’! Un bagno! Così ho accettato. È stata dura sa? Ma dura, eh! Ora sono due anni che bevo acqua, acqua minerale e basta. Se vedo un cartone di vino non mi fa niente. Non bevo più. Ho seguito un programma, ma sono stato io che ho smesso di bere, è stata una decisione mia, è stata mia la fatica. Ma ormai la decisione l’avevo presa! Lei lo direbbe, a vedermi, che bevevo e ho vissuto 22 anni sulla strada? Una volta, se ci penso, alle cinque del mat-
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tino sono andato a chiamare Luigi, il …ci converte È mistero la vita di questa e altre volontario del Centro che mi seguiva, perché non trovavo più delle cose che persone che vivono sulla strada. È Mistero quello che Dio ci manifesta nella avevo. Ed è venuto, sa? È venuto! nascita di un Bambino. Al MiAlle cinque del mattino è scestero occorre avvicinarsi in so, è venuto con me sul punta di piedi, lasciando fiume, dove dormivo, che la grazia di Dio opemi ha aiutato a cercari liberamente in ogni re, non sapevo bene persona. Occorre avere nemmeno io cosa! Se fiducia in quanto il Sici penso! gnore può fare per Lui Ora mi vergogno di niente è impossibile. averlo chiamato! Ma io Questa storia ci insegna cosa ne sapevo! Per me a non giudicare mai, a crededormire, stare svegli, non re nella capacità di ogni persona è che avesse una logica, dormivo quando avevo sonno, ma magari di riscattarsi e cambiare vita. Solo con di giorno, che era più caldo. Ora ho questo atteggiamento possiamo offrire cominciato anche, un pochino, a impa- il nostro tempo e le nostre risorse nel rare a leggere, con una maestra che mi volontariato. insegna. E sa? Ho fatto anche la Prima Comunione, e anche la Cresima! Il ve- …si fa preghiera Signore, grazie per i miracoli che scovo, anche lui mi conosceva e quando mi ha visto si è stupito, non credeva giorno per giorno operi in ciascuno di ai suoi occhi! Se lo immagina? Un bar- noi, soprattutto in chi fa più fatica a bone come me che faceva la Cresima! credere in se stesso e in Te. No, contatti con la mia famiglia non ne ho mai più avuti. Mah! Ora che ho una casa magaPreghiera della famiglia ri mia sorella la potrei intorno alla mensa anche invitare! Ora mi compro un moCon la venuta di Gesù, Dio rivela a noi il suo torino nuovo. L’ho disegno d'amore per il mondo e per ogni persona. già visto, sempre Aiutaci a credere che tu, o Padre, ci vuoi bene, un cinquantino eh! e che nel tuo Figlio Gesù tu hai amato da Ma nuovo. Qualche anno fa l’avrei sempre ogni uomo e donna che viene in questo rubato! mondo e ci chiami alla gioia piena (Un ex “barbone”) nel tuo Regno.
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«è apparsa la grazia di dio» (Is 9,1-6; Sal 95; Tt 2,11-14; Lc 2,1-14)
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Le tenebre di questa notte di Natale sono squarciate dalla luce proveniente dall’Incarnazione di Cristo. La parola di Dio, attraverso il profeta Isaia, annunzia al popolo di Israele un totale cambiamento della sua sorte: dalle tenebre alla luce, dalla tristezza alla gioia, dalla schiavitù alla libertà. La causa di questo rivolgimento si trova nella nascita di un bambino, proveniente dalla stirpe regale di Davide. Ma chi sia questo infante, ardentemente atteso, non è rivelato se non alla lettura del vangelo di Luca, il quale ci narra della nascita di Gesù a Betlemme. L’evangelista ci fa comprendere che nella debolezza di questo bambino, insignificante e inerme di fronte ai potenti della terra, si trova la presenza salvifica di Dio. Ecco allora che l’autore della lettera a Tito, nella seconda lettura, può finalmente dare il buon annuncio di un dono di salvezza di Dio per tutti gli uomini. Questo ultimo brano è tratto da una lettera, quella a Tito, che in base all’in-
testazione è direttamente attribuita a Paolo, mentre, con molta probabilità, è da far risalire alla scuola paolina formatasi intorno a questa grande figura del cristianesimo primitivo. Tale cerchia di discepoli intende riprendere l’insegnamento autorevole dell’Apostolo e adattarlo, alcuni anni dopo la sua morte, alle nuove esigenze delle Chiese. Il nostro testo (Tt 2,11-14) segue direttamente un brano che presenta una serie di esortazioni specifiche per la vita quotidiana di ciascuna categoria di credenti, costituendone la motivazione stessa. Infatti, secondo quanto si scrive, la fede cristiana può e deve manifestarsi nella realtà di questo mondo perché è fondata sul concreto intervento storico di Dio in Gesù di Nazareth. In lui Dio offre a tutti gli uomini, senza distinzione, la sua «grazia». Si tratta dunque del suo amore gratuito e universale che, se accolto, costituisce la vera salvezza per ogni essere umano. Tuttavia tale salvezza non riguarda soltanto l’esistenza nell’aldilà,
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ma il presente della vita terrena. Così colui che accoglie il dono di Dio nel battesimo è chiamato a lasciarsi condurre dal Signore per vivere, seppur inserito nel contesto del mondo, in modo alternativo, nella prudenza, nella giustizia e nella santità. D’altra parte, il cristiano è animato anche dall’attesa di una beatitudine come fine ultimo della sua vicenda. Questa è una speranza che lo protende verso la nuova e definitiva venuta del Signore Gesù, che avverrà non più nell’umiltà e nel nascondimento, ma nella gloria della sua manifestazione di giudice universale. Il nostro brano conclude dunque con il ribadire che Cristo è davvero il Salvatore perché ha donato se stesso, affrontando la morte, per liberarci dal male e costituirci in popolo, proprietà di Dio solo. Ma l’appartenenza della Chiesa al suo Signore sarà visibile a tutti non per mezzo di particolari pronunciamenti, ma attraverso la pratica delle opere dell’amore, compito di ciascun cristiano. L’Incarnazione del Figlio di Dio nella nostra storia ci mostra dunque il volto di un Dio amico, che desidera la salvezza di ogni essere umano da lui creato. Perciò l’apparizione dell’amore gratuito e misericordioso di Dio nel Natale costituisce l’oggetto della nostra preghiera, la quale diventa atto di contemplazione, e nello stesso tempo rappresenta un invito pressante a manifestare il Signore con le nostre parole e, soprattutto con le nostre opere, affinché anche gli altri possano fare l’esperienza gioiosa ed entusiasmante della sua grazia.
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Celebrare Lo scambio dei saluti Nella vita sociale ci sono delle regole di buona educazione che è giusto insegnare e rispettare, una di queste è certamente il “saluto”. Quando si entra in una casa è buona educazione salutarsi e scambiarsi dei convenevoli. Sono parole di benvenuto, che al di là delle espressioni utilizzate hanno il compito di accogliere e di avviare una relazione. Un saluto freddo e distaccato può pregiudicare un incontro, così come un saluto sincero e caloroso può cancellare via diffidenze e pregiudizi. Anche Gesù, facendo visita alla sua comunità dopo la risurrezione, ha salutato i suoi: «Pace a voi» (Gv 20,19). Parole semplici, ma traboccanti di doni. La pace, infatti, è il dono che racchiude in sé tutte le promesse: la gioia, la salute, la speranza, la fecondità, la vita… Gesù incontra i suoi e scambia con loro una saluto gravido di promesse. Anche la celebrazione eucaristica inizia con il saluto. Il presbitero prima saluta l’altare, venerandolo con il segno del bacio ed eventualmente onorandolo con l’incensazione, e poi saluta l’assemblea, annunciando la presenza del Signore in mezzo alla sua comunità: «La grazia e la pace di Dio nostro Padre e del Signore nostro Gesù Cristo sia con tutti voi». Solo parole tratte dalla Scrittura, che annunciano la presenza del Signore in
mezzo a noi, come aveva promesso ai nostri padri: «Stabilirò la mia dimora in mezzo a voi e non vi respingerò. Camminerò in mezzo a voi, io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo» (Lv 26,11) e alla sua discendenza: «Ecco io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Con questo saluto, che il presbitero esprime alla comunità radunata, con voce gioiosa e con le braccia allargate, ci accogliamo vicendevolmente e riceviamo in dono l’annuncio del compi-
mento di ogni promessa: la presenza del Signore in mezzo a noi. A questo saluto rispondiamo: «E con il tuo spirito!». Il dono ricevuto viene, con questa espressione, ricambiato. È questo il compito di ogni saluto: aprirsi vicendevolmente all’accoglienza di un dono che viene da un Altro e che insieme riconosciamo quale fonte di gioia. È necessario restituire ai saluti liturgici tutta quella autenticità di cui hanno bisogno: forza espressiva, calore, sincerità, attenzione dello sguardo; senza verità, tutta
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25 dicembre 2008 l’eloquenza di questo semplice saluto rischia di smarrirsi, soffocato da uno stereotipo vuoto e banale; ma se celebrati con dignità, essi hanno la forza di aprire il cuore alla gioia dell’incontro. «Oggi su di noi splenderà la luce, perché è nato per noi il Signore; Dio onnipotente sarà il suo nome, Principe della pace, Padre dell’eternità: il suo regno non avrà fine». (Antifona di ingresso, Natale, Messa dell’aurora)
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«È apparsa la grazia di Dio» «Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia». (Luca 2,12) …testimoniata dagli ultimi Come non pensare a nonna Uila, una donna di 70 anni che da 7 anni si è presa a carico i tre nipoti, dopo che la mamma è morta di tubercolosi. Lo fa con sacrificio, ma con una tremenda dignità, coltivando patate e allevando pecore e maiali, che ogni giorno porta al
pascolo. E mamma Antonia, dopo che i terroristi le hanno ucciso il marito, è rimasta sola con 6 figli. È incredibile la sua tenacia nel lavorare la terra, perché tutti possano terminare di studiare. È incurvata e rugosa, ma sempre sorridente e accogliente. E poi Filomeno che, rimasto solo con 5 figli, si è dedicato completamente alla sua famiglia e ogni domenica riunisce la piccola comunità cristiana di Utcush per celebrare e condividere la Parola. La gente lo cerca continuamente per un consiglio, sfogare una sofferenza o raccontargli un problema. Anche per me è un buon direttore spirituale. È incredibile come Eusebia cammina ogni domenica per diversi chilometri, fino al piccolo mercato del paese, per vendere erbe medicinali che crescono sulle Ande, e poter poi comprare un po’ di riso e zucchero per i suoi 4 bambini. Sono loro che continuamente ci ricordano che ogni giorno è Natale, che Gesù è già venuto e che ci è vicino nei più deboli e marginati e disprezzati e che il Regno di Dio è già in mezzo a noi. Solo dobbiamo cercarlo e contemplarlo scoprendo la sua presenza fatta umanità in milioni di volti, per sentirci così figli e figlie, fratelli e sorelle, e rendere visibile l’amore di Dio, che è Padre e Madre. Sono loro che ci chiedono di alzare la nostra voce contro quelli che causano tanta miseria, di abbandonare uno
Natale
stile di vita pieno di cose, ma assente di vita, perché anche loro possano semplicemente vivere con dignità. A voi tutti vorrei augurare, come diceva don Tonino Bello, un “Natale scomodo”, che sporchi le nostre mani, impegni le nostre lacrime, il nostro tempo e la nostra vita, nella costruzione di un mondo “altro”, di una vita migliore e tanto necessaria per milioni di uomini, donne e bambini... di giocarci l’esistenza, perché VINCA LA VITA. (p. Fernando Madaschi mccj)
ge nell’ultima parte della sua esperienza. Un Natale ed una vita più sobri, un desiderio di impegnare tempo e risorse ci aiuteranno a rendere più autentico il nostro annuncio. …si fa preghiera Aiutaci, Signore, a condividere la gioia del Natale in famiglia e con i più poveri. Aiutaci a rendere visibile la buona notizia del tuo Regno.
Preghiera …ci converte della famiglia È apparsa la grazia di intorno alla mensa Dio: nasce un bambino e riscatta le sofferenze di Gesù, guardandoti oggi Bambino nel presepio, tutti: l’augurio di Paabbiamo capito la bellezza e la bontà di un Dio dre Fernando – vinca vicino, che comprende la nostra debolezza, la vita – è già realtà, che ci incoraggia sul nostro cammino, ma non è facile crederche accompagna i nostri passi ci quando la vita è così fino a realizzare in pienezza dura. Se vogliamo davil nostro desiderio di amore e di felicità. vero annunciare la buona Grazie, Signore Gesù! notizia, seguiamo l’invito che questo missionario ci rivol-
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Santa Famiglia
«i miei occhi hanno visto la tua salvezza» (Gn 15,1-6;21,1-3; Sal 104; Eb 11,8.11-12.17-19; Lc 2,22-40)
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Mentre le vicende della nascita di Gesù hanno come contesto storico una legge umana, il decreto di Cesare Augusto che ordina il censimento dell’impero (cf. Lc 2,1), i primi passi della Santa Famiglia si pongono alla luce della legge di Mosè, data da Dio al popolo d’Israele sul monte Sinai. Già il versetto precedente al nostro brano aveva parlato dei «giorni prescritti per la circoncisione» al termine dei quali viene imposto al bambino il nome di Gesù. Il neonato è così, fin dall’inizio, non solo inserito nella stirpe di Abramo, ma anche posto sotto il segno della Legge. Tramite il ripetersi della stessa formula («quando furono compiuti i giorni…» Lc 2,21-22) l’evangelista parla ora del tempo della purificazione (in conformità a Lv 12,1-8) alla fine del quale Giuseppe e Maria portano il bambino al tempio di Gerusalemme,
centro dell’alleanza e della vita religiosa di Israele e luogo dove avvengono le rivelazioni di Dio. In tutto il brano, dall’inizio alla fine, domina il tema della fedeltà alla Legge che muove e motiva i gesti dei genitori di Gesù. Essi, agendo «secondo la legge del Signore», sono messi in parallelo con Zaccaria ed Elisabetta, presentati poco prima come «giusti» e osservanti dei comandamenti (cfr. Lc 1,6). I genitori di Gesù, come quelli di Giovanni, sono così associati ai «poveri di JHWH» dell’AT, pronti ad accogliere la venuta escatologica del Signore e del suo Messia. Essi, però, non sono i soli. L’incedere di Maria e di Giuseppe verso il tempio si incontra con la storia e la vita di Simeone, definito fin da subito «uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele». La veneranda età del personaggio lascia in-
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tendere una lunga attesa che, però, non è mai stata senza speranza, perchè mossa dalla certezza che gli viene dallo Spirito Santo: «non avrebbe visto la morte senza prima aver visto il Cristo del Signore» (Lc 2,26). Il gioco di parole e l’insistenza sul verbo «vedere» preparano già il cantico che sgorga commosso dalla bocca del vecchio Simeone. Egli, per opera dello Spirito, può ora riconoscere nel bambino presentato al tempio il Messia atteso e sperato da tutto Israele ed elevare al Signore il suo canto di lode. Giunto al culmine della vita, egli può «ora» (nell’«oggi», tempo della manifestazione messianica) andare in «pace» perché ha visto la salvezza che viene dal Signore. Per la prima volta compare in modo esplicito il tema della salvezza delle nazioni, nella sua dimensione universale: i termini impiegati fanno pensare che essa non è prerogativa esclusiva del solo Israele, ma «preparata davanti a tutti i popoli», salvezza che include i doni messianici della liberazione, della remissione dai peccati e della pace. Il piccolo Gesù, che Simeone stringe tra le braccia, si colloca quindi al centro della storia d’Israele, come punto di arrivo e compimento delle attese del popolo eletto, ma anche come punto di partenza di una salvezza destinata ad aprirsi a tutti, ad abbracciare tutta la discendenza di Abramo, numerosa come le stelle del cielo che non possono essere contate (I lettura). I due aspetti sono inseparabili: il bambino è, secondo le parole del cantico di Simone, «luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele»
(cfr. Lc 2,32). Simeone è contemporaneamente spettatore e rivelatore di tutto ciò: in lui si realizzano così le parole che un giorno Gesù dirà ai suoi discepoli: «Beati gli occhi che vedono quello che voi vedete» (cfr. Lc 10,23) perché egli è testimone della grazia di Dio che è apparsa nel mondo e «che porta salvezza a tutti gli uomini» (Tt 2,11).
Celebrare Un incontro sincero La liturgia cristiana celebra l’incontro tra Dio e il suo popolo: ogni Domenica si rinnova quel patto di alleanza che unisce la nostra vita con il Corpo stesso del Signore Gesù. L’Eucaristia è, infatti, mistero nuziale: amore donato e ricevuto, corpo consegnato e consumato, sacrificio offerto e accolto. Questo mistico scambio di parole e gesti d’amore, domanda necessariamente una docile disponibilità, un autentico coinvolgimento, un sincero pentimento. Un incontro leale non può che iniziare con una domanda di perdono. Esso appartiene al linguaggio dell’amore, ne è la voce più autentica, perché ogni relazione inevitabilmente conosce i suoi fallimenti, le sue fragilità, le sue ipocrisie, i suoi tradimenti. Domandare perdono all’inizio di un incontro è, per così dire, il passaggio ne-
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cessario per un nuovo inizio. Nella Celebrazione Eucaristica, i cosiddetti riti penitenziali sono posti tra le parole e i gesti degli inizi, perché i riti di introduzione, come ci ricorda l’Ordinamento Generale del Messale Romano (n 46), ci conducono al cospetto di Dio; davanti al suo Volto, non c’è nulla di nascosto che non venga messo in luce. Il loro scopo è quello di creare le condizioni necessarie per un incontro autentico, affidando al linguaggio del perdono, il compito di abbattere tutti quegli gli ostacoli che lo renderebbero infruttuoso o superficiale. Il sacerdote, con parole adatte al tempo liturgico e alla concreta situazione dei presenti, invita l’assemblea a rientrare in se stessa per mettere in luce le ombre che appesantiscono il cuore e a porsi in verità e fiducia davanti al volto del Signore. Per fare questo, la liturgia si affida al linguaggio del silenzio che sa scavare nel profondo di noi stessi e dà voce alle parole del pentimento (Confesso, Pietà di noi, Signore, Kyrie eleison). Da un cuore affranto e umiliato, sale a Dio la lode: «perché Egli è lento all’ira e grande nell’amore» (Sal 102). «In lui oggi risplende in piena luce il misterioso scambio che ci ha redenti: la nostra debolezza è assunta dal Verbo, l’uomo mortale è innalzato a dignità perenne». (Prefazio di Natale III)
Testimoniare La Parola di Dio… «I miei occhi hanno visto la tua salvezza». «Mentre i genitori portavano il bambino Gesù per adempiere la legge, (Simeone) lo prese tra le braccia e benedisse Dio: «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza». (Luca 2,27-30) …testimoniata dagli ultimi Quando, circa dodici anni fa, si è affacciata nella nostra vita la prima proposta di affido familiare, ci sembrava di essere troppo vecchi, ma ci siamo “buttati”. Oggi, quasi settantenni, continuiamo a percorrere con rinnovato entusiasmo la strada intrapresa e, da allora, siamo stati “genitori affidatari” di nove bambini di diverse età tra cui anche tre neonati. Abbiamo dovuto elaborare dinamiche diverse per ognuno di loro e questo ha stimolato molto la nostra fantasia. Il caso più difficile, ma forse proprio per questo il più dinamico ancora oggi, è stato quello di un maschietto di nove
anni autolesionista, intelligentissimo, …ci converte Chissà se, crescendo, i bimbi accolti affamato d’amore. Si sentiva colpevole per l’allontanamento dalla sua famiglia da questa coppia di nonni sapranno dire: e colpevole dei maltrattamenti subiti “i miei occhi hanno visto la tua salvezza”. Di fatto, non potranno dimenticare perché era un bambino “cattivo”. Il nostro impegno è stato quello di l’amore gratuito che hanno ricevuto in combattere il suo senso di colpa, con- un momento difficile della loro infanzia. vincerlo che era un bambino solo un po’ Non è mai troppo tardi per “fare famipiù vivace e recuperare la sua fiducia. glia” con chi non ce l’ha: questo è il Il rapporto più difficile e mai superato vero modo di rimanere giovani! Come Simeone, che al termine della è stato quello con la scuola. La sua insegnante, mal preparata, aveva messo sua vita è felice di annunziare la venuta del Signore, gli anziani possono “rinquasi l’intera classe contro il bambino. Con lui avevamo instaurato un bel giovanire” mettendosi a disposizione, dialogo serale, prima di addormentar- anche con piccoli gesti quotidiani, dei ci, al momento della preghiera: “Di che più poveri. cosa dobbiamo ringraziare il Signore e per che cosa dobbiamo chiedere scusa?”. …si fa preghiera Signore, grazie per tutti i nonni. AiuGli uscivano dal cuore tutti i fatti della giornata, belli e brutti, i rapporti con i taci a rispettarli, a valorizzare la loro compagni o con la sua famiglia nei ri- esperienza, a non permettere che rimanentri a casa settimanali; in seguito siamo gano soli, a vivere con loro la solidarietà stati “adottati” anche dalla sua mamma con gli ultimi. che si appoggiava a noi con fiducia. Ancora oggi, dopo che il bambino è tornato a vivePreghiera re con la mamma, viene della famiglia intorno alla mensa volentieri a trascorrere con noi qualche fine Signore Gesù, quando sei venuto tra noi, settimana. per indicarci la via della salvezza, anche tu hai I bambini che abvoluto nascere in una famiglia, hai sperimentato biamo quest’anno, due fratelli di 5 e l’affetto e la guida di un papà e di una mamma. 9 anni, dicono che Da loro hai imparato a parlare e ad ascoltare, noi non invecchiahai conosciuto il sapore della vita, mo perché ci sono hai appreso ad amare, a comprendere, loro a tenerci giovani. a perdonare. Fa’ che tutti possano (Una coppia di sperimentare il dono e la gioia “nonni affidatari”)
di una famiglia.
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Maria Madre di Dio
«Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace» (Nm 6,22-27; Sal 66; Gal 4,4-7; Lc 2,16-21)
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Quando Israele ha conosciuto il Signore, ha fatto esperienza di un Dio che si prende cura del suo popolo. La liberazione dalla schiavitù egiziana, il cammino nel deserto, il dono della terra hanno insegnato al popolo ebraico che JHWH interviene concretamente a suo favore. La benevolenza di Dio si condensa e si perpetua nella benedizione che Aronne, i suoi figli e i sacerdoti loro discendenti devono trasmettere al popolo. Come dice la parola stessa, benedire significa “dire bene” di qualcuno. Chi conosce il famoso proverbio: «Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare», sa che al parlare bene di qualcuno non sempre segue il fare qualcosa per il suo bene. Per Dio non è così. Il suo dire è allo stesso tempo un fare, la sua parola è efficace e produce una trasformazione reale della realtà a cui si rivolge. Pensiamo alla Parola che ha creato il mondo (Gn 1) e alla Parola paragonata alla pioggia e alla neve che, una volta scese dal cielo,
producono immancabilmente l’effetto di fecondare il suolo (Is 55,10-11). La benedizione, perciò, è parola (dire) e dono (fare). E Dio, datore di ogni dono, ha messo nelle mani dell’uomo la sua benedizione. I sacerdoti sono invitati a proclamare tre formule “efficaci”, che esprimono quanto Dio vuole fare per il bene del suo popolo. Il numero dei versetti (tre) e delle parole nel testo ebraico per ogni versetto (tre, cinque, sette) esprime la perfezione della benedizione. Le tre frasi dicono chiaramente che l’autore della benedizione è Dio e che egli compie atti di benevolenza verso il popolo in un crescendo che culmina nel dono della pace (cfr. 6,22-27). Il Signore custodisce e protegge il suo popolo, cioè lo sorveglia e impedisce che gli possa accadere qualcosa di male, come fa un pastore col suo gregge. Il Signore fa risplendere il suo volto sugli Israeliti: questo è un segno della
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sua presenza benefica, da cui si sprigiona luce e calore. La persona che viene investita dalla luce e dal calore può vivere e stare bene. Quando il Signore fa splendere il suo volto su qualcuno gli fa grazia, cioè riversa la sua bontà su di lui. «Molti dicono: “Chi ci farà vedere il bene?” Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto» (Sal 4,7). Al contrario, se Dio nasconde il suo volto l’uomo cade nella disperazione e viene meno (Sal 30,8; 104,29). Il volto del Signore torna nel terzo verso. Rivolgere il volto verso una persona significa prestargli attenzione, curarsi di lui. Nel mondo della Bibbia, un re o un principe sollevava il volto verso un suo suddito quando voleva concedergli un beneficio. Ma rivolgere il volto verso qualcuno significa anche farsi conoscere o riconoscere da lui, significa manifestare se stessi: gioia, dolore, fatica, benessere si possono leggere su un volto. Questi atteggiamenti, che esprimono in definitiva la presenza benefica di Dio e la sua premura per il popolo, raggiungono il culmine nel dono della pace. Il concetto biblico di pace dice più che la sola mancanza di ostilità nei confronti di qualcuno. Pace indica primariamente la qualità posseduta da qualcosa di integro, di sano, di completo, qualcosa a cui non manca nulla. Chi vive nella pace è alla presenza di Dio, sta bene con sé e con gli altri, è una persona integra e “completa”. Questa presenza “pacifica” e pacificante di Dio è diventata “carne” nel seno di Maria e la Chiesa ricorda
oggi questo evento. «Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò». Ricevere il nome significa appartenere alla persona di cui si porta il nome, perciò chiunque è benedetto da Dio appartiene a lui e si deve considerare sua proprietà.
Celebrare L’Inno: Gloria a Dio Non c’è perdono senza rimorso, come non c’è riconciliazione senza esultanza. La tristezza che accompagna il pentimento, si trasforma presto in gioia. Nei riti di introduzione della Celebrazione Eucaristica, dopo l’atto penitenziale e il canto del Kyrie eleison, segue l’inno del Gloria: un canto di gioia e di esultanza che glorifica la magnificenza di Dio e l’opera da lui compiuta, conducendo il cuore riconciliato ad accogliere la sua Parola. L’inno “Gloria a Dio” nell’alto dei cieli è antichissimo e lo troviamo attestato in greco nelle Costituzioni Apostoliche, redatte circa nel 380 (VII,47), come inno mattutino, e solo successivamente è stato introdotto nella Liturgia Eucaristica romana. Esso è strutturato in quattro parti: INTRODUZIONE: «Gloria a Dio nell’alto dei cieli, e pace in terra agli uomini di buona volontà».
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Il testo è tratto dal Vangelo di Luca (cfr. 2,14) e costituisce l’ouverture che invita all’esultanza, allo stupore, alla gioia per la venuta del Dio-con-noi. LA LODE: «Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa, Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente». Successivamente, vengono precisati i motivi della lode: la magnificenza, lo splendore della gloria di Dio che si manifesta attraverso la sua azione: la forza del suo braccio, la potenza del suo nome, la grandezza della sua misericordia, il suo farsi vicino ponendo la Tenda in mezzo a noi (cfr. Gv 1,14). La litania: «Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del Padre, tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi; tu che togli i peccati del mondo, accogli la nostra supplica; tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi». Il popolo di Dio, chiamato per «essere posseduto da lui, perché proclami le opere meravigliose di Colui che dalle tenebre lo ha chiamato alla sua luce meravigliosa» (cfr. 1Pt 2,9-10), supplica e invoca: abbi pietà di noi! La preghiera di domanda ha qui un carattere di confidenza, di fiducia: l’orecchio di Dio é sempre teso ad ascoltare, il suo braccio è continuamente disteso per liberare (Es 2,24-25). L’invocazione insistente prende forma nella litania: al Figlio unigenito del Padre, all’Agnello che toglie il peccato del mondo (Gv 1,29), a Colui che la potenza di Dio ha glorificato, ponendolo alla sua destra.
DOSSOLOGIA FINALE: «Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l’Altissimo, Gesù Cristo, con lo Spirito Santo: nella gloria di Dio Padre. Amen». La conclusione é solenne e richiama nuovamente la dimensione trinitaria riconducendo ogni preghiera al Padre. L’inno del Gloria prorompe da un cuore riconciliato e canta con stupore le meraviglie compiute da Dio: ogni domenica Egli viene a visitarci, portando in dono la sua pace. È necessario esprimere questa esultanza con il canto, per questo il Messale invita tutto il popolo di Dio a dargli voce e nessuna recita potrà esprimerne, allo stesso modo, la gioia e la meraviglia dell’incontro con Lui (cfr Ordinamento Generale del Messale Romano, n. 53). «Molte volte e in diversi modi Dio ha parlato ai nostri padri per mezzo dei profeti; oggi, invece, parla a noi per mezzo del Figlio. Alleluia». (Canto al Vangelo, Maria SS.ma Madre di Dio)
Testimoniare La Parola di Dio… «Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace». «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i
perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli». (Matteo 5,9-10)
… ci converte Questa preghiera è stata composta da suore a servizio delle tante giovani vittime del racket della prostituzione. Oggi è la giornata internazionale della Pace: ma non può esserci pace senza giustizia, come ci ricorda Gesù nel testo delle Beatitudini. Iniziamo oggi a collaborare per un mondo più giusto, evitando di giudicare, anzi cercando di amare i migranti, le donne di strada che in questa preghiera vengono raccomandati a Maria. Prendiamo l’impegno di sostenere quanti si adoperano per la pace e per la promozione degli ultimi.
…testimoniata dagli ultimi Aurora, che porti in grembo un meriggio carico di sole, cammina con noi, tu che conosci la Strada! Pellegrina in Israele e straniera in Egitto, mostraci la Via, quella vera, Maria dei migranti, quella che hai percorso prima di noi. Mostraci la strada inattesa e santa che fece il Cristo, tuo amatissimo Figlio, la strada stretta di quelli che hanno fede e coraggio di stare come sorelle e fratelli nel mondo rinato. Maria, donna libera, a te presentiamo le donne, le tante giovani donne …si fa preghiera Signore, per intercessione di Maria, ancora schiave che, su un’altra strada, converti i nostri cuori alla pace che è il Signore ci fa incontrare. I loro volti, Maria, i loro occhi vela- soprattutto tolleranza, relazione, dialoti, le loro mani tremanti, sono nascosti go, perdono, amore. frammenti del volto tuo, degli occhi tuoi. Santa Maria, donna della Strada, cammina Preghiera della famiglia con noi! Raccogli nel intorno alla mensa tuo cuore il nostro andare e donaci di Maria, Madre di Dio, regina della pace, essere, come te, noi affidiamo alla tua protezione questo nuovo madri e padri di anno; insegnaci a riconoscere che Dio è entrato nuove speranze nelle pieghe più nascoste della storia del mondo di liberazione e di giustizia. e della vicenda personale di ognuno di noi, (Sorelle della chiamati a essere figli dello stesso Padre Comunità Rut e a divenire da ogni popolo un’unica Caserta) famiglia che vive nella
giustizia e nella pace.
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DOMENICA DOPO NATALE
«Dio illumini gli occhi del vostro cuore» (Sir 24,1-2.8-12; Sal 147; Ef 1,3-6.15-18; Gv 1,1-18)
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Tutte e tre le letture di questa domenica offrono al nostro sguardo un quadro gigantesco, che ha inizio addirittura prima del tempo, e che poi continua nella storia: attraverso i secoli, Dio manifesta e realizza il suo desiderio di dimorare con gli uomini. E per noi (II lettura e Vangelo) si apre una possibilità straordinaria. Vediamola seguendo in particolare la pagina della Lettera agli Efesini. La prima parte di questo testo è un inno di benedizione, una lode rivolta a Dio «Padre del Signore nostro Gesù Cristo». Questo rapporto tra Padre e Figlio dura da sempre, da prima ancora che il Figlio assumesse una carne umana e, anzi, da prima che l’intera nostra realtà fosse creata. È un rapporto speciale, singolarissimo: nessun rapporto umano potrebbe mai eguagliarne l’intimità e la profondità. Eppure anche noi, uomini peccatori, diciamo “Padre nostro”, noi, che siamo entrati in rapporto con Dio solo a un certo punto della storia, e con tutto il peso dei nostri limiti. Avremmo potuto
rapportarci a Dio semplicemente come a colui che ci ha creati, l’onnipotente, altissimo e... lontano Dio. E invece lo chiamiamo Padre, mettendoci sullo stesso piano del Figlio anziché sul piano delle altre creature. Com’è possibile per noi questo? È davvero possibile? Sì, lo è, ma solo come dono ricevuto. Il Padre, infatti, ha voluto fare di noi una cosa sola col Figlio: ci ha uniti così strettamente a lui, da fare con lui una cosa sola (in Giovanni troviamo l’immagine della vite e dei tralci, in Paolo quella delle membra di un corpo). In questa prospettiva si può ben comprendere l’espressione, che Paolo usa, di “figli adottivi”: dalla sua eternità Dio ci ha guardati e ci ha scelti, poi, in un giorno e in un’ora della nostra vita, ci ha adottati, cioè ci ha accolti dentro a quella che potremmo definire la sua “intimità familiare”, facendo appunto di noi una cosa sola col Figlio. Quell’ora precisa è l’ora del nostro battesimo. Parlare dell’identità che ci è stata donata, per Paolo, fa tutt’uno con la lode:
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le sue parole sono infatti, come si diceva, un vero e proprio inno di benedizione, dal tono solenne e quasi commosso. Dio è benedetto perché egli per primo si è degnato di benedire noi: egli ci ha regalato il destino di figli, e attraverso la persona del Figlio ci ha colmati di ogni altro dono. Nella comunità degli Efesini, Paolo sa che non mancano la fede e la carità: esse sono il segno che la benedizione di Dio è stata efficace. C’è però ancora qualcosa da chiedere al Padre, ed è il dono di poterlo conoscere ancor più profondamente. La nostra conoscenza di Dio, infatti, non è data una volta per tutte, perché egli è vivo e non un concetto astratto, egli è immenso e noi siamo limitati; né possiamo addentrarci nel suo mistero, se non è egli per primo a farsi conoscere a noi. Trattando di queste cose, Paolo ci offre un’immagine splendida ed efficacissima nella sua concretezza: egli parla degli “occhi del cuore”. Nel centro più profondo dell’uomo, il cuore, c’è come un paio di occhi in grado di vedere; questa capacità però sarebbe inutile se Dio non elargisse, costantemente, la luce. Per gli Efesini, Paolo chiede a Dio questa luce, affinché essi possano continuare a vedere in due direzioni: da un lato conoscere (sempre più) lui, il Padre, e dall’altro conoscere (sempre più) la speranza a cui il Padre li chiama. Essere figli adottivi, infatti, significa non soltanto sapere che un Padre ci ha adottato, ma anche incontrarlo, guardarlo negli occhi, conoscerlo. E desiderare di stare in quella sua casa che, per grazia, è diventata anche nostra.
Celebrare Il volto della Parola Ci sono parole vicine e parole lontane, parole che nutrono e parole che schiamazzano, parole false e parole vere. Le parole possono avere tanti volti! Nel nostro tempo, le parole si inseguo-
no e si rincorrono, si soffocano a vicenda e si contraddicono, siamo così assuefatti dal rumore delle parole, che ormai non ispirano più nessuna fiducia. Nessuno crede più a una parola data! Eppure Dio ha scelto di dimorare nella fragilità di un suono, si è fidato della parola: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14). Sin dall’inizio a Dio è piaciuto rivelarsi e in diversi modi ha parlato agli uomini come ad amici (Es 33,11; Gv 15,14-15) e si intrattiene con essi (cfr. Bar 3,38), per in-
vitarli alla comunione con sé (cfr. DV 2). Nella Celebrazione Eucaristica, la Liturgia della Parola costituisce il primo incontro con Dio: Egli si rivolge a noi e sempre attende una risposta: «la quale è un ascolto e un’adorazione in “Spirito e Verità” (Gv 4,23)» (cfr. Intr. al Lezionario, n. 6). La responsorialità alla Parola di Dio nasce da un orecchio attento, feconda in un cuore docile e germoglia sulle labbra: essa come la pioggia e la neve, scende giù dal cielo (Is 55,10-11), fora il nostro orecchio (Sal 40,7), spezza la du-
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rezza del cuore e infine feconda e fiorisce nella lode, del rendimento di grazie, nella supplica. Per la potenza dello Spirito Santo, tutta la Celebrazione Eucaristica diventa così una continua, piena ed efficace proclamazione della Parola d Dio (cfr. Intr. al Lezionario, n. 4). La liturgia della Parola intesse così un dialogo fatto di parole ascoltate e risposte date, silenzi di accoglienza ed acclamazioni di gioia. Attraverso questo mistico scambio Dio si rivela e noi riceviamo in dono un sentiero per la vita. Infatti la Parola di Dio è viva ed efficace e mentre parla a tutti, sussurra nel cuore di ciascuno, favorendo l’unità e nello stesso tempo rispondendo alle domande inespresse (cfr. Int. al Lezionario, n. 9). Nel Verbo di Dio, così debole e fragile, dimora la potenza dell’Altissimo, esso inizia il suo esodo uscendo dalla bocca di Dio per poter, infine, dimorare in noi e così portare frutti di giustizia e di pace nella vita. «Nel quieto silenzio che avvolgeva ogni cosa, mentre la notte giungeva a metà del suo corso, il tuo Verbo onnipotente, o Signore, è sceso dal cielo, dal trono regale». (Antifona di Ingresso, II domenica dopo Natale)
Testimoniare La Parola di Dio… «Dio illumini gli occhi del vostro cuore» «In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo». (Lettera agli Efesini 1,4-5) …testimoniata dagli ultimi Per gli italiani residenti a Yangon il 2 maggio è giorno di festa. Si celebra il matrimonio tra un amico e una giovane birmana. Fatto inconsueto, se non inedito, almeno sul suolo birmano. Si sa, però, del ciclone Nargis in arrivo; alle 20.30 la cena nuziale termina, in modo da permettere a tutti di tornare a casa in sicurezza. Prima che l’elettricità venga bruscamente tagliata dalle prime, violente raffiche di vento, seguiamo via Internet l’avvicinamento del ciclone, immaginando solo lontanamente il disastro che sta già compiendo nella regione del delta dell’Irrawaddy, dove aveva toccato terra qualche ora prima, causando una mareggiata di terrificante violenza omicida. È già notte inoltrata quando Nargis dispiega tutta la sua violenza. I venti a
200 chilometri orari la fanno da padro- alcuni blocchi persino a piedi! Solne per oltre tre ore, dalle 2 fino alle pri- tanto l’indomani mattina, domenica 4 me luci dell’alba. Le palme di cocco si maggio, si ricomincia a girare, ma non piegano quasi fino a terra, senza tutta- in macchina, per le strade della capitavia sradicarsi rovinosamente, come in- le. Una città irriconoscibile, tanto stravece accade a tutti gli altri alberi, anche ordinariamente verde e ombreggiante quelli secolari con diametro misurabile prima, quanto spoglia e assolata dopo in metri. Rumore di vetri, schianto di il passaggio di Nargis. pali di cemento, crolli di mura di cinta, (Un operatore Caritas in Myanmar) lamiere di tetti accartocciate, rombo di …ci converte venti: impossibile dormire. Questa “cronaca in diretta” della graAlle 6.30, quando l’intensità del ciclone comincia a scemare, usciamo per ve emergenza che ha colpito il Myanmar comprendere i danni. Ci sono talmente nel maggio scorso, ci mostra come in tanti alberi e tralicci caduti, cavi e fili ogni situazione Dio può illuminare gli elettrici e telefonici impigliati ovunque, occhi del cuore di ogni persona, di ogni che non si riesce ad aprire il cancello. popolo: aiutando ciascuno a credere in se Ma subito qualcuno si fa strada a colpi stesso e nelle proprie capacità, spingendi machete tra i rami, liberando la stra- dolo a reagire, a rendersi solidale, a moda d’accesso alle nostre case. Un lavoro strare le proprie ricchezze, la gentilezza, alacre, la solita cortesia dei birmani, mi- la solidarietà… sta all’enorme sorpresa per l’accaduto. Per una volta, vedo la popolazione di …si fa preghiera Signore, illumina gli occhi del nostro Yangon prendere l’iniziativa, lavorare gomito a gomito per ristabilire un mini- cuore, perché chiunque possa ritrovarvi mo di libertà di movimento, fra tronchi e l’amore che ci hai testimoniato. rami, pali caduti e macerie di tetti e vetri. Senza aspettare autorizzazioni dal regime, senza chiudersi in casa, Preghiera né affidandosi solamente della famiglia all’aiuto “pubblico”; tutintorno alla mensa ti capiscono che sta a loro reagire, altrimenti Abbiamo contemplato, o Dio, le meraviglie del tuo l’isolamento può duamore che si è donato a noi nel tuo Figlio rare chissà quanto. per condividere la nostra condizione umana. Qualche ora dopo Illumina i nostri occhi, riscalda il nostro cuore, tento di fare un giro in perché sappiamo accogliere ogni persona bicicletta per Yangon, e amarla nel tuo nome. ma è impossibile superare
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Epifania «Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima» (Is 60,1-6; Sal 71; Ef 3,2-3a.5-6; Mat 2,1-12)
Annunciare Un lungo viaggio al seguito di una stella
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I Magi alla ricerca di un re. Un altro re e una città turbata. Diversi personaggi si muovono sul palcoscenico di questo brano, ma solo alcuni di loro sono persone veramente sagge perché hanno scoperto il segreto della gioia. Come hanno fatto? Vediamo. Ci sono anzitutto i Magi. Non basta aggiungere una “h” (maghi) per capire chi sono questi personaggi venuti dall’oriente. Probabilmente erano persone colte, forse astrologi o scienziati… Insomma, il meglio della sapienza orientale. I sapienti Magi si lasciano guidare da una stella. Non sanno dove si trova il re dei Giudei che è nato, eppure seguono con fiducia l’astro luminoso. A Gerusalemme ci sono altri sapienti. In Israele il sapiente è colui che conosce la Parola del Signore. I capi dei sacer-
doti e gli scribi del popolo conoscono la Legge e i Profeti, attendono il Messia, sanno che nascerà a Betlemme, ma questa conoscenza serve a ben poco. In realtà non si fidano fino in fondo, non si lasciano guidare dalla Parola di Dio. Non potrebbe essere questo il momento atteso da secoli? Perché questo bambino non potrebbe essere il Messia promesso dalle Scritture? Ecco un primo tratto del vero sapiente: è colui che accetta di lasciarsi guidare. I Magi si sono fidati della stella e sono partiti per un lungo viaggio. Arrivati a Gerusalemme la stella è scomparsa, ma loro si informano, chiedono, cercano, perché devono arrivare dal re. E i sapienti di Israele con il loro re cosa fanno? Stanno fermi a Gerusalemme, turbati! Secondo tratto del nostro identikit: il vero sapiente non aspetta passivamente che le vicende facciano il loro corso, ma
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si dà da fare per cercare il re. I Magi cercano il «re dei Giudei che è nato» e, giunti a Gerusalemme, si trovano di fronte ad un altro re. Erode il Grande regnava in quel tempo a Gerusalemme. Era di origine idumea (una regione a Sud della Palestina), quindi non era considerato un vero ebreo, e non era un discendente del re Davide. La sua reazione all’udire che è nato un re è il turbamento. Erode poi, cercherà di ingannare i Magi per ottenere informazioni riguardo al pericoloso bambino che è nato. Accanto al re Erode ci viene presentato il re Gesù. Gesù nasce nel piccolo villaggio di Betlemme (dove Davide era stato unto re!) e discende da Davide attraverso il suo padre putativo Giuseppe. Nonostante i timori di Erode, Gesù è tranquillo e non mette in pericolo il regno. Un inno della Liturgia del periodo di Natale dice così: «Perché temi, Erode, il Signore che viene? Non toglie i regni umani, chi dà il regno dei cieli». Quindi ci sono due re. Chi scegliere? Vediamo che l’interesse dei Magi è unicamente orientato verso Gesù: «Al vedere la stella provarono una grandissima gioia!». Terzo tratto: il sapiente riconosce il vero re. I Magi giunti davanti a Gesù si prostrano ed offrono i loro doni. La Chiesa ha visto in essi dei simboli profetici: l’oro rivela la regalità di Gesù, l’incenso la sua divinità, la mirra la sua umanità, poiché prefigura la morte e sepoltura del Signore. Non solo. L’Antico Testamento aveva già preannunciato che i popoli stranieri, riconoscendo fi-
nalmente il vero Dio, sarebbero venuti in Israele per adorarlo portando simili doni (cfr. Is 60,1-6; Sal 72). Ora la profezia si compie. Allora sono i Magi i veri sapienti che hanno scoperto il segreto della gioia: si fidano della stella, si mettono in cammino, riconoscono il vero re, il vero Dio. Noi siamo “discendenza” dei Magi, perché apparteniamo a un popolo straniero, non ebreo. Se ci comporteremo anche come “Magi”, veri sapienti, Dio si manifesterà a noi.
Celebrare Il silenzio e la parola Nella Liturgia, il silenzio costituisce uno dei linguaggi necessari per poter dire il mistero di Dio. Esso ha voce, colore, tempo. La sua voce è il gemito dello Spirito, il suo colore è dato dai diversi ruoli che assume all’interno della celebrazione; il tempo ne è il corpo che occupa uno spazio tangibile all’interno della celebrazione. Prima dell’inizio della celebrazione, la sua voce invita l’assemblea a far tacere il frastuono della vita per varcare la porta del rito. All’atto penitenziale, si fa gemito che invoca, domanda che attende, contrizione che spera. Dopo l’invito alla preghiera, prima della Colletta, unisce i desideri del cuore e li fonde in una sola voce. Nella liturgia della Parola, il silen-
zio ha un ruolo fondamentale: è la fonte stessa da cui sgorga la Parola (R. Guardini). Poiché la Parola senza il silenzio è come un suono senza eco, diventa sordo, vuoto, soffocato: il silenzio è l’altra sponda della Parola: né è la profondità nascosta e, nello stesso tempo, l’orizzonte infinito. Senza il silenzio, la Parola non ha voce e resta appiattita in un orizzonte immanente; senza la Parola, il silenzio resta intangibile e ambiguo. L’uno e l’altro appartengono ai linguaggi necessari della celebrazione. Le premesse al Lezionario non solo lo raccomandano tra le letture (prima della prima, tra la lettura e il salmo, tra il salmo e la seconda lettura; prima dell’acclamazione al Vangelo, dopo l’omelia), ma sottolineano come «tutta la liturgia della Parola si deve celebrare in modo che essa favorisca la meditazione; evitando ogni fretta che sia di ostacolo al
raccoglimento» (Introduzione al Lezionario, 28). Oggi, più che mai, il silenzio rientra tra le priorità educative: non esistono più luoghi e tempi in cui è possibile farne esperienza e così si è trasformato in un estraneo, un disagio, un imbarazzante vuoto. È necessario ricostruire il silenzio: facendogli spazio nella vita domestica, aiutando a conoscerlo nei diversi luoghi educativi, iniziando alla sua conoscenza nella preghiera, solo così la Parola potrà ritrovare la sua voce più vera e profonda. «La tua luce, o Dio, ci accompagni sempre e in ogni luogo, perché contempliamo con purezza di fede e gustiamo con fervente amore il mistero di cui ci hai fatti partecipi». (Orazione dopo la comunione, Epifania).
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6 gennaio 2009 Testimoniare La Parola di Dio… «Al vedere la stella, provarono una grandissima gioia». «In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo». (Lettera agli Efesini 1,4-5)
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…testimoniata dagli ultimi Se ripenso a questi mesi trascorsi in terra kosovara ho l’impressione di aver vissuto “tanto”, di aver sfruttato tanto, cioè, le mie ore, di aver impegnato ogni attimo disponibile con incontri, attività, visite, pensieri... Sento di aver vissuto un’altra velocità. Porterò nel mio cuore la prima volta che ho assistito ai vespri nel monastero ortodosso di Deçan..., perché in quelle tre ore passate in piedi ad ascoltare i monaci intonare canti e accendere centinaia di candeline ho sentito la presenza di Dio lì accanto a me e ho capito che la spiritualità senza le opere è nulla, ma anche
le opere senza la spiritualità servono a ben poco. E ho capito anche che Dio non chiede all’uomo di imbracciare un fucile in suo nome, sebbene in molti provino a mettergli in bocca queste parole... Porterò nel mio cuore i funerali collettivi di 56 persone scomparse di Krusha e Madhe..., perché ci sono tante Auschwitz che si ripetono anche ai giorni nostri nell’indifferenza generale ed è giusto che quei morti ci tormentino se non abbiamo mosso un dito per evitare loro quella fine... Porterò nel mio cuore le mani di Bajram scrivere sia in albanese che in serbo su di un bristol le attività della Radio di Novo Brdo in modo che tutti i ragazzi dello staff potessero capire... perché in quell’inchiostro scorreva la pace ... Porterò nel mio cuore il volto di Mimosa, la bambina più bella del mondo, che ogni volta che con Zef entravamo a Dubrava ti correva incontro con i piedini nudi, sia in agosto che a dicembre, ti si gettava al collo e ti chiedeva di prenderla sulle spalle... perché Mimosa è un fiore di nome... e di fatto! Porterò nel mio cuore i due bambini che compongono la Classe 5a della scuola parallela serba di Videja e la loro insegnante tuttofare..., perché per loro la campanella ogni mattina suona all’interno di una camera da letto adibita ad aula di lezione...
Porterò nel mio cuore la voce dei bim- ma gioia» racconta il vangelo. Presto i bi dell’asilo di Prizren che mi cantano: magi avrebbero vissuto l’incontro con “Ciao, amico, ciao, ciao ciao!!!” per Gesù. Il giovane Casco Biansalutarmi..., perché è musica che co ripercorre tutti gli inriscalda il cuore... contri vissuti alla fine A distanza di un anno dal della sua esperienza mio arrivo qua, mi rendo in Kosovo: è nella conto di essermi buttato relazione con gli e messo in gioco in tutto altri che possiaquello che mi era stato mo ritrovare la proposto...: parrocchie, gioia. centri di ascolto, autoPrivilegiamo aiuto, radio, asilo, rom... il dialogo in faDiverse volte mi è capimiglia, creiamo retato di pensare che non foslazioni con i vicini, se stata la scelta giusta, di non a partire da quelli più averne le capacità e le competenze soli. Condividiamo la gioia necessarie. E perché concentrandosi su dell’incontro con tutti. una o poche cose solamente avrei potuto produrre qualcosa di migliore... Poi …si fa preghiera mi sono detto che non ero qua per “proCome dice una vecchia preghiera durre”, ma per conoscere, per mettermi scout… Signore, insegnami l’attenzione al servizio di tutti, per dare una seconda alle piccole cose, al passo di chi cammichance a tutti, per accompagnare... E na con me per non fare più lungo il mio. quando decidi di accompagnare non puoi abbandonare il tuo compagno a metà strada. Gesù non ci ha detto di Preghiera stare con gli ultimi per un della famiglia po’ di tempo, ma di intorno alla mensa farcene carico. Con tutti i miei limiti, è Grazie, Signore, per il dono della fede, che ci aiuta quello che ho cera riconoscere che la nostra vita non è abbandonata cato di fare. a se stessa, ma è guidata verso la pienezza (Un giovane della gioia e dell’amore. Grazie per i nostri genitori, “Casco Bianco” e per tutti coloro che ci hanno presi per mano in Kosovo) …ci converte «Al vedere la stella provarono una grandissi-
e ci hanno accompagnati nella vita a conoscere la tua verità, ci hanno voluto bene e ci hanno insegnato ad amare.
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Battesimo del Signore «Uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui» (Is 55,1-11; Cant. Is 12,2-6; 1Gv 5,1-9; Mc 1,7-11)
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Dopo una breve descrizione del compito, dell’attività e perfino dell’abbigliamento e della dieta alimentare di Giovanni, l’evangelista Marco condensa in due frasi il contenuto della predicazione del Battista che annuncia l’avvento di uno che è «più forte» (Mc 1,7), l’unico che può accampare dei diritti, colui che battezza «in Spirito Santo» (Mc 1,8) invece che «con acqua». Così, in soli tre versetti, ci è narrato il battesimo di Gesù che, sebbene si inserisca all’interno della normale attività del Battista precedentemente descritta, presenta elementi di discontinuità e novità. Diverse sono infatti sia la provenienza geografica che lo scopo: se la folla veniva a Giovanni dalla Giudea e da Gerusalemme, Gesù proviene da un’altra parte, da Nazaret; se dei pri-
mi è detto che «si facevano battezzare confessando i loro peccati», per Gesù è usata la forma passiva del verbo («fu battezzato») e non è esplicitato nessun riferimento alla conversione o al perdono dei peccati (a differenza di Mc 1,4). La presentazione di Gesù, sul quale si concentra tutta l’attenzione dell’evangelista, avviene con toni solenni nei quali riecheggiano espressioni profetiche di carattere messianico ed escatologico («in quei giorni»). In effetti, la manifestazione del Figlio di Dio inaugura la fine della storia e segna l’intervento irreversibile del regno di Dio nella storia dell’uomo (cfr. 1,15). I verbi di movimento, come quelli che esprimono visione e ascolto, hanno soltanto lui come unico soggetto, mentre sia il Battista che
il popolo restano da parte. L’uscita di Gesù dall’acqua, movimento dal basso verso l’alto, corrisponde in modo antitetico alla discesa dello Spirito, che procede al contrario dall’altro verso il basso: in modo chiaro, così, è significato come la venuta dello Spirito non sia l’effetto diretto del Battesimo di Giovanni. Tutto quanto è detto in questi versetti sottolinea l’identità e la missione di Gesù. L’immagine dei cieli che si squarciano rimanda alla supplica che il profeta Isaia aveva rivolto al Signore, più volte rivelatosi come «padre» d’Israele attraverso le vicende storiche del popolo eletto, perché manifestasse la sua presenza e offrisse il suo aiuto: «Se tu squarciassi i cieli e scendessi» (Is 63,19). Con Gesù questo accorato desiderio si realizza: i cieli chiusi da lungo tempo si aprono, il silenzio di Dio si infrange e il tempo dell’attesa lascia spazio alla rivelazione della presenza di Dio. Con un’immagine simile, alla fine del vangelo, sarà il velo del tempio a squarciarsi nel mezzo (Mc 15,38), come segno della manifestazione piena della missione messianica di Gesù che, attraverso la sua morte, apre l’uomo al rapporto con il Padre. Come previsto dalle Scritture (cfr. Is 11,2), lo Spirito prende così stabile dimora sul Messia, che è destinatario della voce dal cielo: «Tu sei il figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento» (Mc 1,11). L’espressione fonde i toni classici dell’intronizzazione regale (cfr. Sal 2,7) con un chiaro riferimento al servo sofferente di JHWH (cfr. Is 42,1). Fin dal momento
della sua prima manifestazione al mondo, Gesù è presentato come il Messia amato dal Padre, pieno dei doni dello Spirito, che porta la salvezza attraverso la sua missione. Essa avrà come punto culminante la morte sulla croce, “battesimo” con cui il Figlio deve essere battezzato (cfr. 10,38).
Celebrare La preghiera dei fedeli La Parola di Dio è viva ed efficace, non conosce sosta né riposo, essa corre nel mondo per raggiungere gli estremi confini della terra. Anche all’interno della liturgia, la Parola di Dio compie la sua corsa: scende da Dio e irrompe nel tempo, scava e illumina le profondità del cuore, muove il pensiero e suscita l’agire, si fa voce che loda, supplica, intercede per il mondo. Dopo averla proclamata, ascoltata, acclamata, meditata, ecco che nella celebrazione eucaristica, la Parola si fa voce che prega e supplica: la preghiera dei fedeli. «Collocata tra la proclamazione della parola e la grande Prece eucaristica, si nutre della sapienza delle Scritture, aprendosi agli orizzonti immensi del Cristo sacerdote e mediatore» (Orazionale, premesse, n. 1). Si chiama così non solo perché abitualmente viene proposta da alcuni fe-
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deli, ma principalmente perché ne è la voce, l’espressione viva ed efficace. Essa sgorga dall’ascolto e risale a Dio, in questo movimento discendente e ascendente, essa trascina tutti con sé, perché la Parola attende il suo compimento «e non ritorna a Dio senza aver operato ciò per cui è stata mandata» (Is 55,11). La preghiera diventa così la voce che tende a colmare la distanza tra l’annuncio e il compimento, la promessa e la realizzazione. Al ritmo di questa danza, trascina tutti con sé, avvolgendo la Chiesa sparsa nel mondo, i poveri e i sofferenti, i malati e gli emarginati. Ogni uomo e ogni donna viene raggiunto dalla voce della preghiera per essere trascinato davanti al volto di Dio. Questa preghiera è il sacrificio che il popolo sacerdotale offre a Dio perché la Parola affretti la sua corsa e porti a tutti gli uomini la salvezza. «La [preghiera universale] è il grande respiro del corpo ecclesiale che, professata la propria fede come adesione alla parola di Dio, prende il mondo nelle sue mani per presentarlo al Padre per mezzo del Cristo, come preludio della grande azione di grazie» (Orazionale, n°1). «Padre onnipotente ed eterno, che dopo il battesimo nel fiume Giordano proclamasti il Cristo tuo diletto Figlio, mentre discendeva su di lui lo Spirito Santo, concedi a noi tuoi figli, rinati dall’acqua e dallo Spirito, di vivere sempre nel tuo amore». (Colletta, Battesimo del Signore).
Testimoniare La Parola di Dio… «Uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui» «E, uscendo dall’acqua, vide aprirsi i cieli e lo Spirito discendere su di lui come una colomba. E si sentì una voce dal cielo: “Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto”». (Marco 1,10-11) …testimoniata dagli ultimi Ora vivo in Italia da sette anni e come voi vivo fra le fragilità di molti giovani, le incertezze di molti adulti, coppie in crisi, i rapporti con il vicinato, le tensioni condominiali e fra colleghi di ufficio, che – dice lo psichiatra Vittorino Andreoli – rappresentano una categoria a rischio di disturbi mentali più dei barboni o dei nomadi… Alla pace ci si educa e ci si abitua, esattamente come alla barbarie dei nostri rapporti quotidiani. Sapete cosa vi dico: le guerre si preparano con il lasciarci scivolare nella quotidianità di rapporti basati sulla violenza, l’insofferenza, la sopraffazione, sulla logica dell’io vinco e tu perdi. No, non è così, entrambi dobbiamo vincere, entrambi dobbiamo cercare una soluzione che ci accontenti.
Non bisogna teVi posso assicuramere di affrontare re, credetemi, che la il confronto e di conpace è un’attività più frontarsi con l’affrondifficile della guerra, to... È quasi inevitabile. ecco perchè io proporrei (Un operatore di Caritas un obiettivo alla portata di Italiana) tutti, a cominciare da questa sera stessa. Mi onoro di essere stato amico di …ci converte La proposta di Annalena Tonelli, di Annalena Tonelli, uccisa in Somalia nel 2003; una persona di carattere non faci- cui ci racconta questo operatore Caritas, le, una donna solitaria e libera, missio- è di amare a dismisura. Ma subito dopo, naria senza congregazione e laica senza la sua ricetta fa capire come: consapevolezza, cuore, confronto, amore dei appoggi politici. Mi sembra importante proporvi il nemici… Questo ci chiede Gesù, forti suo metro di misura: «L’unica misura del battesimo ricevuto. Finisce il tempo di Natale, portiamo dell’amore è la dismisura». E mi dava anche la sua tecnica di auto-valutazione: con noi questo programma di vita per «Quando senti che lo spirito di servizio testimoniare il vangelo. diminuisce, che la routine o la stanchezza prendono il sopravvento al di là di …si fa preghiera Signore, insegnaci l’amore senza riquello che è giusto, chiuditi e rimani da serve, intelligente e appassionato, pronsolo a parlare con Dio». Né più e né meno quello che si do- to al perdono e al dialogo. vrebbe fare in ogni relazione affettiva, quando arriva il tempo dell’aridità. E poi anche una specie di Preghiera ricetta, che ho ricavato della famiglia dalle chiacchierate che intorno alla mensa facevo con lei, mentre lei curava i malaGesù, nel Battesimo, ci hai rigenerati, ti, beninteso. siamo divenuti fratelli tuoi, figli dello stesso Padre, Bisogna conomembri della stessa famiglia. scere le cose, quindi Donaci il tuo Spirito che infonda in noi speranza informarsi, sapere, e coraggio, per essere costruttori di un mondo studiare, approfondinuovo e viviamo nell’attesa che si compia re. Bisogna saper parla pienezza del tuo Regno. lare al cuore, non solo alla pura razionalità.
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Proposta per la
Novena di Natale
Primo giorno:
Il cielo e la terra
Perché abbiamo letto questo brano? Mi sembra logico sistemare prima di tutto il cielo e la terra per poter costruire il nostro il presepe
Nel nome del Padre…
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La Novena in preparazione al Natale presentata in queste pagine è una proposta di preghiera da vivere in famiglia. Il motivo di questa scelta lo affidiamo alle parole del Santo Padre: «In tante famiglie, seguendo una bella e consolidata tradizione, subito dopo la festa dell’Immacolata si inizia ad allestire il Presepe, quasi per rivivere insieme a Maria quei giorni pieni di trepidazione che precedettero la nascita di Gesù. Costruire il Presepe in casa può rivelarsi un modo semplice, ma efficace di presentare la fede per trasmetterla ai propri figli. Il Presepe ci aiuta a contemplare il mistero dell’amore di Dio che si è rivelato nella povertà e nella semplicità della grotta di Betlemme» (Benedetto XVI, Angelus, III domenica di Avvento 2005). Tuttavia, pur trattandosi di uno schema di preghiera familiare, è possibile, con alcune variazioni, utilizzarlo anche per la preghiera della comunità. A questo scopo si offre un’antologia di brevi brani che attingono al Magistero di Benedetto XVI. Essi possono essere utilizzati come commento o riflessione ai brani biblici proposti nei singoli giorni della Novena.
Un genitore: Mostraci, Signore, la tua misericordia. Tutti: E donaci la tua salvezza. Il figlio più piccolo sistema il cielo e la terra, dove sarà collocato il presepe. Un genitore legge, quindi, la Parola di Dio Ascoltiamo la Parola di Dio. Dal libro del profeta Isaia (55,9-11) Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri. Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata. Dialogo Il figlio più piccolo chiede a un genitore:
Il genitore risponde: È vero! Ma il brano che abbiamo appena letto ci spiega il significato del cielo e della terra. Non si tratta, infatti, di una semplice scenografia. Il profeta Isaia, riportando le parole stesse di Dio, ci dice che il cielo e la terra, non sono più così distanti tra loro. Nel momento in cui Dio si fa uomo e viene tra noi è come se il cielo toccasse la terra. Per questo collochiamo prima di tutto il cielo e la terra: per ricordarci che in Gesù che nasce, è Dio stesso che dall’alto dei cieli viene a visitare la terra e si fa vicino ad ogni uomo. Uno dei figli accende la candela. Uno dei genitori invita a pregare con la preghiera del Signore: Padre nostro Uno dei genitori: Benediciamo il Signore. Tutti: Rendiamo grazie a Dio.
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Secondo giorno:
La mangiatoia Nel nome del Padre… Un genitore: Mostraci, Signore, la tua misericordia. Tutti: E donaci la tua salvezza. Il figlio più piccolo sistema la mangiatoia per il presepe. Un genitore legge, quindi, la Parola di Dio Ascoltiamo la Parola di Dio. Dal libro del profeta Michea (5,1-2)
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E tu, Betlemme di Efrata così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te mi uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti. Perciò Dio li metterà in potere altrui fino a quando colei che deve partorire partorirà; e il resto dei suoi fratelli ritornerà ai figli di Israele.
Dialogo Il figlio più piccolo chiede ad un genitore: Nel brano che abbiamo letto si parla della città di Betlemme, non si parla di una mangiatoia. Il genitore risponde: Hai ragione. Ma un motivo c’è! Gesù nasce a Betlemme, e Betlemme significa «casa del pane». Il Vangelo di Luca dice che Gesù fu adagiato in una mangiatoia. Ora, se Betlemme significa «casa del pane» e Gesù viene adagiato su una mangiatoia, diventa più chiaro che è Gesù il pane offerto a tutti gli uomini. La mangiatoia di Betlemme, in questo senso, diventa il centro del mondo, il luogo nel quale ogni uomo può saziare il suo desiderio di salvezza. Uno dei figli accende la candela. Uno dei genitori invita a pregare con la preghiera del Signore: Padre nostro Uno dei genitori: Benediciamo il Signore. Tutti: Rendiamo grazie a Dio.
Terzo giorno:
Il bue e l’asino Nel nome del Padre… Un genitore: Mostraci, Signore, la tua misericordia. Tutti: E donaci la tua salvezza. Il figlio più piccolo sistema il bue e l’asinello nella mangiatoia. Un genitore legge la Parola di Dio Ascoltiamo la Parola di Dio. Dal libro del profeta Isaia (1,1-4a. 8-9) Udite, cieli; ascolta, terra, perché il Signore dice: «Ho allevato e fatto crescere figli, ma essi si sono ribellati contro di me. Il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende». Guai, gente peccatrice, popolo carico di iniquità! È rimasta sola la figlia di Sion come una capanna in una vigna, come un casotto in un campo di cocomeri, come una città assediata. Se il Signore degli eserciti non ci avesse lasciato un resto, già saremmo come Sodoma, simili a Gomorra.
Dialogo Il figlio più piccolo chiede ad un genitore: Anche il bue e l’asino hanno un significato per il nostro presepe? È per questo che abbiamo letto questo brano del profeta? Il genitore risponde: In realtà, nel Vangelo di Luca e di Matteo che raccontano la nascita di Gesù non si parla del bue e dell’asino. Però, quasi subito, i cristiani hanno voluto collocare nel presepe questi due animali proprio perché ispirati da quello che dice il profeta Isaia.Essi sono diventati il simbolo di due popoli, quello dei giudei e quello dei pagani. È un modo per affermare che davanti a Gesù si ritrovano tutti i popoli. Uno dei figli accende la candela. Uno dei genitori invita a pregare con la preghiera del Signore: Padre nostro Uno dei genitori: Benediciamo il Signore. Tutti: Rendiamo grazie a Dio.
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Quarto giorno:
Giuseppe Nel nome del Padre… Un genitore: Mostraci, Signore, la tua misericordia. Tutti: E donaci la tua salvezza. Il figlio più piccolo sistema l’immagine di Giuseppe nel presepe. Un genitore legge, quindi, la Parola di Dio Ascoltiamo la parola di Dio. Dal Secondo libro di Samuele (7, 4-5a.12-14a.16)
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In quei giorni, fu rivolta a Natan questa parola del Signore: «Va’ e di’ al mio servo Davide: Così dice il Signore: Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu dormirai con i tuoi padri, io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Egli edificherà una casa al mio nome e io renderò stabile il trono del suo regno per
sempre. Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio. La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a te, il tuo trono sarà reso stabile per sempre».
Quinto giorno:
Dialogo Il figlio più piccolo chiede a un genitore: Perché abbiamo letto un brano riferito a Davide? Cosa c’entra Davide con Giuseppe?
Un genitore: Mostraci, Signore, la tua misericordia. Tutti: E donaci la tua salvezza.
Il genitore risponde: Secondo il Vangelo, Giuseppe apparteneva alla discendenza di Davide. Dio, quindi, sceglie Giuseppe come padre di Gesù perché in questo modo è più facile comprendere che si realizza la sua promessa. Dio, infatti aveva promesso a Davide di rendere stabile il suo regno. La presenza di Giuseppe ci dice che Dio, attraverso la discendenza di Davide, non solo realizza la promessa, ma inaugura un regno che non avrà mai fine.
Il figlio più piccolo sistema l’immagine di Maria nel presepe.
Uno dei figli accende la candela. Uno dei genitori invita a pregare con la preghiera del Signore: Padre nostro Uno dei genitori: Benediciamo il Signore. Tutti: Rendiamo grazie a Dio.
Maria Nel nome del Padre…
Un genitore legge, quindi, la Parola di Dio Ascoltiamo la Parola di Dio. Dal libro del profeta Isaia (7,10-15) Il Signore parlò ancora ad Acaz: «Chiedi un segno dal Signore tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure lassù in alto». Ma Acaz rispose: «Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore». Allora Isaia disse: «Ascoltate, casa di Davide! Non vi basta di stancare la pazienza degli uomini, perché ora vogliate stancare anche quella del mio Dio? Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà
Emmanuele. Egli mangerà panna e miele finché non imparerà a rigettare il male e a scegliere il bene». Dialogo Il figlio più piccolo chiede a un genitore: Non sarebbe stato più logico leggere il brano del Vangelo che racconta dell’annuncio dell’angelo a Maria? Il genitore risponde: Hai perfettamente ragione. Ma abbiamo letto questo brano per sottolineare come, l’annuncio a Maria raccontato nel Vangelo di Luca realizza una promessa fatta da Dio molto tempo prima al re Davide. Maria ha creduto a questa promessa ed ha accettato di diventare la madre di Gesù. In questo modo, Maria è il modello di tutti coloro che credono alle promesse di Dio, e, proprio perché credono, vedono realizzate le promesse. Uno dei figli accende la candela. Uno dei genitori invita a pregare con la preghiera del Signore: Padre nostro Uno dei genitori: Benediciamo il Signore. Tutti: Rendiamo grazie a Dio.
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Sesto giorno:
I pastori Nel nome del Padre… Un genitore: Mostraci, Signore, la tua misericordia. Tutti: E donaci la tua salvezza. Il figlio più piccolo sistema alcuni pastori intorno al presepe. Un genitore legge, quindi, la Parola di Dio Ascoltiamo la Parola del Signore. Dal Vangelo secondo Matteo (11,25-28)
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In quel tempo Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare. Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò».
Dialogo Il figlio più piccolo chiede a un genitore: Perché abbiamo letto questo brano per spiegare la presenza dei pastori? Qui si parla dei piccoli. A chi si riferisce Gesù? Il genitore risponde: Devi sapere che ai tempi di Gesù i pastori erano uomini disprezzati perché poveri e ignoranti. Ma il Vangelo di Luca ci racconta che quando è nato Gesù loro sono stati i primi a ricevere l’annuncio. Loro erano svegli perché facevano la guardia al gregge. I pastori, quindi, sono tra i «piccoli» di cui Gesù parla nel Vangelo, cioè le persone semplici, povere. Essi non hanno la pretesa di sapere tutto. Sono un po’ come i bambini: pronti a meravigliarsi di tutto. Uno dei figli accende la candela. Uno dei genitori invita a pregare con la preghiera del Signore: Padre nostro Uno dei genitori: Benediciamo il Signore. Tutti: Rendiamo grazie a Dio.
Settimo giorno:
Gli Angeli Nel nome del Padre… Un genitore: Mostraci, Signore, la tua misericordia. Tutti: E donaci la tua salvezza. Il figlio più piccolo sistema alcuni angeli nel presepe. Un genitore legge, quindi, la Parola di Dio Ascoltiamo la Parola di Dio. Dal libro del profeta Isaia (40,9-11) Sali su un alto monte, tu che rechi liete notizie in Sion; alza la voce con forza, tu che rechi liete notizie in Gerusalemme. Alza la voce, non temere; annunzia alle città di Giuda: «Ecco il vostro Dio! Ecco, il Signore Dio viene con potenza, con il braccio egli detiene il dominio. Ecco, egli ha con sé il premio e i suoi trofei lo precedono. Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul seno e
conduce pian piano le pecore madri». Dialogo Il figlio più piccolo chiede a un genitore: In questo brano non si parla di angeli. Allora perché lo abbiamo letto? Il genitore risponde: Devi sapere che la parola «angelo» significa «messaggero». Questo brano di Isaia parla di un messaggero che, dall’alto di un monte annuncia al popolo che finalmente è finita la loro schiavitù. Gli angeli sono, quindi, dei messaggeri che annunciano a noi belle notizie. A Natale, la più bella notizia è quella di Dio che si fa uomo e viene in mezzo a noi. Anche noi, come gli angeli dobbiamo essere capaci di comunicare agli altri che solo in Gesù troviamo la vera gioia. Uno dei figli accende la candela. Uno dei genitori invita a pregare con la preghiera del Signore: Padre nostro Uno dei genitori: Benediciamo il Signore. Tutti: Rendiamo grazie a Dio.
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Ottavo giorno:
La stella Nel nome del Padre… Un genitore: Mostraci, Signore, la tua misericordia. Tutti: E donaci la tua salvezza. Il figlio più piccolo sistema la stella sulla mangiatoria nel presepe. Un genitore legge, quindi, la Parola di Dio Ascoltiamo la Parola di Dio. Dal libro del profeta Isaia (9,1-2a.5)
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Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia. Poiché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità ed è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio
potente, Padre per sempre, Principe della pace». Dialogo Il figlio più piccolo chiede a un genitore: In questo brano si parla di una grande luce. Si riferisce alla stella che ha guidato i Magi? Il genitore risponde: La stella è sì la luce che ha guidato i Magi. Ma per noi la vera luce è Gesù, Figlio di Dio, che si è fatto uomo per noi. Nel giorno di Natale, nel Vangelo di Giovanni, ascolteremo che Gesù è la luce che viene nel mondo, e quanti accolgono questa luce diventano figli di Dio. Uno dei figli accende la candela. Uno dei genitori invita a pregare con la preghiera del Signore: Padre nostro Uno dei genitori: Benediciamo il Signore. Tutti: Rendiamo grazie a Dio.
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Nono giorno:
Il Bambino Gesù Nel nome del Padre… Un genitore: Mostraci, Signore, la tua misericordia. Tutti: E donaci la tua salvezza. Il figlio più piccolo sistema l’immagine del Bambino Gesù nella mangiatoia. Un genitore legge, quindi, la Parola di Dio Ascoltiamo la Parola del Signore. Dal Vangelo di Luca (2,1-7)
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In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirinio. Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo
figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo. Dialogo Il figlio più piccolo chiede a un genitore: Perché Gesù che è Dio ha scelto questo modo di nascere? Lui poteva permettersi di nascere in una famiglia ricca di una grande città. Il genitore risponde: Hai ragione. Ma Gesù ha scelto di venire nel mondo nel modo più semplice e più povero. Egli pur potendo, non si è posto tra i potenti o i più ricchi, e questo è per noi un grande dono. Questo ci fa comprendere che la vera e unica ricchezza è l’amore. È solo per amore che Gesù si è fatto uno di noi, così come solo per amore egli un giorno offrirà la sua vita. Uno dei figli accende la candela. Uno dei genitori invita a pregare con la preghiera del Signore: Padre nostro Al termine della preghiera sarebbe opportuno intonare un canto natalizio tradizionale, mentre tutti si scambiano un gesto di augurio. Uno dei genitori: Benediciamo il Signore. Tutti: Rendiamo grazie a Dio.
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ii
LA MANGIATOIA
In alcune rappresentazioni natalizie del tardo Medioevo e dell’inizio del tempo moderno la stalla appare come un palazzo un po’ fatiscente. Se ne può ancora riconoscere la grandezza di una volta, ma ora è andato in rovina, le mura sono diroccate – è diventato, appunto, una stalla. Pur non avendo nessuna base storica, questa interpretazione, nel suo modo metaforico, esprime tuttavia qualcosa della verità che si nasconde nel mistero del Natale. Il trono di Davide, al quale era promessa una durata eterna, è vuoto. Altri dominano sulla Terra santa. Giuseppe, il discendente di Davide, è un semplice artigiano; il palazzo, di fatto, è diventato una capanna. Davide stesso aveva cominciato da pastore. Nella stalla di Betlemme, proprio lì dove era stato il punto di partenza, ricomincia la regalità davidica in modo nuovo – in quel bimbo avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia. Il nuovo trono dal quale questo Davide attirerà il mondo a sé è la Croce. Il nuovo trono – la Croce – corrisponde al nuovo inizio nella stalla. Ma proprio così viene costruito il vero palazzo davidico, la vera regalità. Questo nuovo palazzo è così diverso da come gli uomini immaginano un palazzo e il potere regale. Esso è la comunità di quanti si lasciano attrarre dall’amore di Cristo e con Lui diventano un corpo solo, un’umanità nuova. Il potere che proviene dalla Croce, il potere della bontà che si dona – è questa la vera regalità, la stalla diviene palazzo – proprio a partire da questo inizio, Gesù edifica la grande nuova comunità, la cui parola-chiave cantano gli Angeli nell’ora della sua nascita: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama» – uomini che depongono la loro volontà nella sua, diventando così uomini di Dio, uomini nuovi, mondo nuovo. (Omelia nella Notte di Natale 2007)
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Brani tratti dal Magistero
di Papa Benedetto XVI per la Novena in comunità
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La terra viene rimessa in sesto proprio per il fatto che viene aperta a Dio, che ottiene nuovamente la sua vera luce e, nella sintonia tra volere umano e volere divino, nell’unificazione dell’alto col basso, recupera la sua bellezza, la sua dignità. Così Natale è una festa della creazione ricostituita. A partire da questo contesto i Padri interpretano il canto degli Angeli nella Notte santa: esso è l’espressione della gioia per il fatto che l’alto e il basso, cielo e terra si trovano nuovamente uniti; che l’uomo è di nuovo unito a Dio. Secondo i Padri fa parte del canto natalizio degli Angeli che ora Angeli e uomini possano cantare insieme e in questo modo la bellezza del cosmo si esprima nella bellezza del canto di lode. Il canto liturgico – sempre secondo i Padri – possiede una sua dignità particolare per il fatto che è un cantare insieme ai cori celesti. È l’incontro con Gesù Cristo che ci rende capaci di sentire il canto degli Angeli, creando così la vera musica che decade quando perdiamo questo con-cantare e con-sentire. Nella stalla di Betlemme cielo e terra si toccano. Il cielo è venuto sulla terra. Per questo, da lì emana una luce per tutti i tempi; per questo lì s’accende la gioia; per questo lì nasce il canto. (Omelia nella Notte di Natale 2007)
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IL CIELO E LA TERRA
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IL BUE E L’ASINO
Il bue e l’asino non sono semplici prodotti della pietà e giorno della fantasia, ma sono diventati ingredienti dell’evento natalizio a motivo della fede della Chiesa nell’unità dell’Antico e del Nuovo Testamento. In Isaia 1,3 leggiamo infatti: «il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone; ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende». I padri della Chiesa videro in queste parole una profezia che fa riferimento al nuovo popolo di Dio, alla Chiesa composta di giudei e pagani. Davanti a Dio tutti gli uomini, giudei e pagani, erano come buoi e asini, privi di intelligenza e conoscenza. Ma il Bambino nella mangiatoia ha aperto loro gli occhi, cosicché ora essi riconoscono la voce del proprietario, la voce del loro Signore. Nelle rappresentazioni medievali del Natale vediamo come i due animali abbiano quasi volti umani, come si inchinino consapevoli e rispettosi davanti al mistero del Bambino. Ciò era perfettamente logico, perché essi avevano il valore di segno profetico dietro cui si nasconde il mistero della Chiesa, il nostro mistero, secondo il quale noi che di fronte all’eterno siamo buoi e asini, buoi e asini cui nella Notte Santa sono stati aperti gli occhi, ora riconoscono nella mangiatoia il loro Signore. (Immagini di speranza)
Br ani tr atti dal Magis t ero di papa
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GIUSEPPE
[Quello di san Giuseppe] un silenzio permeato di contemplazione del mistero di Dio, in atteggiamento di totale disponibilità ai voleri divini. In altre parole, il silenzio di san Giuseppe non manifesta un vuoto interiore, ma, al contrario, la pienezza di fede che egli porta nel cuore, e che guida ogni suo pensiero e ogni sua azione. Un silenzio grazie al quale Giuseppe, all’unisono con Maria, custodisce la Parola di Dio, conosciuta attraverso le Sacre Scritture, confrontandola continuamente con gli avvenimenti della vita di Gesù; un silenzio intessuto di preghiera costante, preghiera di benedizione del Signore, di adorazione della sua santa volontà e di affidamento senza riserve alla sua provvidenza. Non si esagera se si pensa che proprio dal “padre” Giuseppe Gesù abbia appreso – sul piano umano – quella robusta interiorità che è presupposto dell’autentica giustizia, la “giustizia superiore”, che egli un giorno insegnerà ai suoi discepoli. (Angelus della IV Domenica di Avvento 2005)
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Benede tto XVI per la Nov ena in comunità
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MARIA
Maria risponde all’Angelo: «Sono la Serva del giorno Signore, sia fatto come hai detto tu». Maria anticipa così la terza invocazione del Padre Nostro: «Sia fatta la tua volontà». Dice “sì” alla volontà grande di Dio, una volontà apparentemente troppo grande per un essere umano; Maria dice “sì” a questa volontà divina, si pone dentro questa volontà, inserisce tutta la sua esistenza con un grande “sì” nella volontà di Dio e così apre la porta del mondo a Dio. Adamo ed Eva con il loro “no” alla volontà di Dio avevano chiuso questa porta. «Sia fatta la volontà di Dio»: Maria ci invita a dire anche noi questo “sì” che appare a volte così difficile. Siamo tentati di preferire la nostra volontà, ma Ella ci dice: “Abbi coraggio, dì anche tu: ‘Sia fatta la tua volontà’, perché questa volontà è buona. Inizialmente può apparire come un peso quasi insopportabile, un giogo che non è possibile portare; ma in realtà non è un peso la volontà di Dio, la volontà di Dio ci dona ali per volare in alto, e cosi possiamo osare con Maria anche noi di aprire a Dio la porta della nostra vita, le porte di questo mondo, dicendo “sì” alla Sua volontà, nella consapevolezza che questa volontà è il vero bene e ci guida alla vera felicità. (Omelia nella IV Domenica di Avvento 2005)
Br ani tr atti dal Magis t ero di papa
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I PASTORI Nel loro ambiente i pastori erano disprezzati; erano ritenuti poco
giorno affidabili e, in tribunale, non venivano ammessi come testimoni.
Ma chi erano in realtà? Certamente non erano grandi santi, se con questo termine si intendono persone di virtù eroiche. Erano anime semplici. Il Vangelo mette in luce una caratteristica che poi, nelle parole di Gesù, avrà un ruolo importante: erano persone vigilanti. Questo vale dapprima nel senso esteriore: di notte vegliavano vicino alle loro pecore. Ma vale anche in un senso più profondo: erano disponibili per la parola di Dio, per l’annuncio dell’angelo. La loro vita non era chiusa in se stessa; il loro cuore era aperto. In qualche modo, nel più profondo, erano in attesa di qualcosa, in attesa finalmente di Dio. La loro vigilanza era disponibilità, disponibilità ad ascoltare, disponibilità a incamminarsi; era attesa della luce che indicasse loro la via. È questo che a Dio interessa. Egli ama tutti perché tutti sono creature sue. Ma alcune persone hanno chiuso la loro anima; il suo amore non trova presso di loro nessun accesso. Essi credono di non aver bisogno di Dio; non lo vogliono. Altri che forse moralmente sono ugualmente miseri e peccatori, almeno soffrono di questo. Essi attendono Dio. Sanno di aver bisogno della sua bontà, anche se non ne hanno un’idea precisa. Nel loro animo aperto all’attesa la luce di Dio può entrare, e con essa la sua pace. (Omelia nella Notte di Natale 2005)
Benede tto XVI per la Nov ena in comunità
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GLI ANGELI Narra il Vangelo che la moltitudine angelica cantava: «Gloria a
giorno Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama». Gli angeli annunciano ai pastori che la nascita di Gesù “è” gloria per Dio nel più alto dei cieli; ed “è” pace sulla terra per gli uomini che egli ama. Opportunamente, pertanto, si usa porre sulla grotta queste parole angeliche a spiegazione del mistero del Natale, che nel presepe si è compiuto. Il termine “gloria” (doxa) indica lo splendore di Dio che suscita la riconoscente lode delle creature… A questo punto l’annuncio degli angeli suona per noi anche come un invito: “sia” gloria a Dio nel più alto dei cieli, “sia” pace in terra agli uomini che egli ama. L’unico modo di glorificare Dio e di costruire la pace nel mondo consiste nell’umile e fiduciosa accoglienza del dono di Natale: l’amore. Il canto degli angeli può allora diventare una preghiera da ripetere spesso. (Udienza Generale 27 dicembre 2006)
Br ani tr atti dal Magis t ero di papa
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Così quella luce, pur modesta nel suo apparire sulla terra, si proiettava con potenza nei cieli: la nascita del Re dei Giudei era stata annunciata dal sorgere di una stella, visibile da molto lontano. Fu questa la testimonianza di “alcuni Magi”, giunti da oriente a Gerusalemme poco dopo la nascita di Gesù, al tempo del re Erode (cfr. Mt 2,1-2). Ancora una volta si richiamano e si rispondono
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LA STELLA
il cielo e la terra, il cosmo e la storia. Le antiche profezie trovano riscontro nel linguaggio degli astri. «Una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele» (Nm 24,17), aveva annunciato il veggente pagano Balaam, chiamato a maledire il popolo d’Israele, e che invece lo benedisse perché – gli rivelò Dio – «quel popolo è benedetto” (Nm 22,12). Cromazio di Aquileia, nel suo Commento al Vangelo di Matteo, mettendo in relazione Balaam con i Magi; scrive: «Quegli profetizzò che Cristo sarebbe venuto; costoro lo scorsero con gli occhi della fede». E aggiunge un’osservazione importante: «La stella era scorta da tutti, ma non tutti ne compresero il senso. Allo stesso modo il Signore e Salvatore nostro è nato per tutti, ma non tutti lo hanno accolto» (ivi, 4,1-2). Appare qui il significato, nella prospettiva storica, del simbolo della luce applicato alla nascita di Cristo: esso esprime la speciale benedizione di Dio sulla discendenza di Abramo, destinata ad estendersi a tutti i popoli della terra. (Omelia nella Epifania 2008)
Benede tto XVI per la Nov ena in comunità
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BAMBINO GESÙ
Il segno di Dio è la semplicità. Il segno di Dio è il bambino. Il segno di Dio è che egli si fa piccolo per noi. È questo il suo modo di regnare. Egli non viene con potenza e grandiosità esterne. Egli viene come bambino – inerme e bisognoso del nostro aiuto. Non vuole sopraffarci con la forza. Ci toglie la paura della sua grandezza. Egli chiede il nostro amore: perciò si fa bambino. Nient’altro vuole da noi se non il nostro amore, mediante il quale impariamo spontaneamente a entrare nei suoi sentimenti, nel suo pensiero e nella sua volontà – impariamo a vivere con lui e a praticare con Lui anche l’umiltà della rinuncia che fa parte dell’essenza dell’amore. Dio si è fatto piccolo affinché noi potessimo comprenderlo, accoglierlo, amarlo... Ci insegna in questo modo il rispetto di fronte ai bambini. Il bambino di Betlemme dirige il nostro sguardo verso tutti i bambini sofferenti e abusati nel mondo, i nati come i non nati. Verso i bambini che, come soldati, vengono introdotti in un mondo di violenza; verso i bambini che devono mendicare; verso i bambini che soffrono la miseria e la fame; verso i bambini che non sperimentano nessun amore. In tutti loro è il bambino di Betlemme che ci chiama in causa; ci chiama in causa il Dio che si è fatto piccolo. (Omelia nella notte di Natale 2006)
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© Periodici San Paolo Progetto Grafico e realizzazione: Giovanni Picciola (Periodici San Paolo) Stampa: ROTOLITO LOMBARDA SpA - Pioltello - MI - 2008