Muoversi per fare esperienze nuove che non possono fare altro che arricchire l’animo, scoprire e studiare culture diverse: molti intellettuali e scrittori del passato compresero che viaggiare è cardinale nella vita
Con le valigie chiuse, impossibilitati a partire e vedere posti nuovi, a conoscere realtà distanti dalla nostra, comprendiamo maggiormente quanto sia importante uscire, ogni tanto, dai propri confini, anche mentali. Erasmus, vacanze di maturità (che siano a Ibiza, in un’isola greca o in Nuova Zelanda) gite scolastiche o crociere, tutte esperienze irrinunciabili che sono importantissime per crescere e per apprezzare il mondo in cui viviamo. E prima di noi molti grandi menti della nostra cultura lo avevano già capito.

Il “classico” viaggio in Grecia
Prima dell’avvento di Mykonos, Santorini, Corfù o Zante la Grecia, anche nell’antichità, era una meta molto gettonata. Infatti è stata lo scenario di molti viaggi di illustri personaggi fondamentali per la nostra cultura. Il prestigio di cui godeva la penisola ellenica nella formazione culturale degli intellettuali è dovuto al fatto che, di fatto, la civiltà occidentale è nata proprio nelle aree grecofone. Nelle poléis greche c’era l’embrione della nostra mentalità e, allo stesso tempo, uno sviluppo intellettuale e culturale avanzatissimo, culminante con la splendida Atene del V secolo a.C. Il tema del viaggio è sempre stato presente nell’immaginario greco, basti pensare all’Odissea o alle vicende degli Argonauti, mitiche peregrinazioni che costituiscono le fondamenta della grecità. Ma in realtà, proprio alle fondamenta della civiltà greca, si colloca Erodoto, colui che per primo ha legittimato il ruolo importantissimo del viaggio. Considerato come il padre della storiografia antica e moderna, o almeno uno dei più illustri precursori, egli considerava la conoscenza diretta delle usanze e delle culture dei popoli “diversi” (detti “barbari” ma non in tono spregiativo) un elemento interessante, sicuramente peculiare e di cui tenere conto per un’indagine storica accurata. Guardando alle genti esterne alla pari, senza l’altero punto di vista sprezzante di solito tenuto dai Greci verso gli estranei alle loro usanze e tradizioni, egli espresse l’importanza dell’arricchimento personale nel conoscere le religioni, i governi, le strutture sociali, gli usi e i costumi altrui, dai quali si potevano persino trarre degli spunti. Il non greco aveva la stessa dignità del greco, solo era diverso e andava scoperto. E per farlo era necessario verificare di persona, oltre che affidarsi a testimonianze scritte e orali. Dunque si doveva viaggiare. Anche più tardi nei secoli, quando ormai la Grecia ebbe perso il suo ruolo centrale nella scena politica mediterranea, il prestigio culturale delle città elleniche venne mantenuto e la loro sapienza continuò ad esercitare il suo fascino. L’avvento prepotente di Roma come indiscussa dominatrice del mare nostrum portò anche alla conquista della penisola greca, soprattutto dopo la battaglia di Pidna (168 a.C.). In seguito a questo scontro, i Romani imposero di fatto il loro controllo politico e militare, inizialmente limitandosi ad una semplice influenza sulle realtà locali. Ma allo stesso tempo importarono nell’Urbe romana una miriade di ricchezze, monili e opere d’arte che testimoniavano la grandezza e l’avanzamento culturale della civiltà che avevano appena inglobato nei loro confini e della quale, in realtà, erano debitori già da tempo, soprattutto per il teatro. La frase chiave “Graecia capta forum victorem cepit” (“La Grecia conquistata conquistò il feroce oppressore“, pronunciata da Orazio) è indicativa di quanto l’elemento greco divenne sempre più importante nell’ultima fase repubblicana, tanto che iniziò a standardizzarsi una pratica culturale importante: il viaggio di formazione in Grecia ad opera degli intellettuali romani. Questa sorta di specializzazione all’estero ante litteram coinvolse molte tra le più grandi menti del panorama letterario e oratorio latino e si configurò come una tappa fondamentale per il proprio percorso di studi. Così Cicerone, Orazio e Virgilio (che di ritorno dal viaggio in Grecia morì a Brindisi) rifinirono le loro preziosi doti artistiche e oratorie proprio in Grecia e anche Terenzio, legato all’ellenizzante “Circolo degli Scipioni“, pare abbia compiuto un viaggio nelle zone dove la commedia si era sviluppata. Sempre nel campo drammatico, anche il tragediografo Accio compì un viaggio d’istruzione a Pergamo (in Asia Minore, attuale Turchia), mentre una personalità singolare come quella di Apuleio si formò prima a Cartagine e poi ad Atene, non disdegnando di visitare anche alcune zone nell’Oriente imperiale.

Il viaggio come esperienza conoscitiva
Il periodo in cui più elevata fu la considerazione che gli uomini ebbero del viaggio è sicuramente il XVIII secolo. Naturalmente ci sono stati anche epoche nella storia antecedente in cui si viaggiava molto, basti pensare ai resoconti di viaggio come “Il Milione” di Marco Polo o quelli delle navigate verso le Americhe dei Conquistadores o delle missioni gesuitiche. Si tratta di racconti che hanno avuto il pregio di ampliare gli orizzonti mentali degli occidentali, facendo loro scoprire l’esistenza di altre culture molto lontane con le quali interagire. Ma si trattava perlopiù di dinamiche commerciali, in grado di mettere in contatto le grandi navi delle Repubbliche Marinare (Genova e Venezia) e le flotte delle grandi monarchie del vecchio continente con le realtà asiatiche e, più tardi, americane. E anche in età rinascimentale ci fu qualche intellettuale (ad esempio Erasmo da Rotterdam) che si spostò dalla patria per questioni di studio, ma la vera esplosione della considerazione del viaggio in sé avvenne, come detto, nel XVIII secolo. Quello era un periodo di grande cambiamento mentale, in quanto cominciava a profilarsi un nuovo modo di concepire la realtà del mondo spogliandola dai dogmi precostituiti. Si affacciava dirompente la rivoluzione mentale e filosofica dell’Illuminismo, con la sua ventata di novità che intendeva abbracciare ogni branca del sapere. Il razionalismo scandagliava ogni aspetto che prima era giudicato inarrivabile per l’uomo, si faceva carico di studiare la natura, l’universo e tutto ciò che concerneva l’umanità con occhi diversi, nuovi. Il trionfo del metodo sperimentale, inaugurato da scienziati del secolo precedente, si allargava non solo alle discipline scientifiche ma venne anche ritenuto alla base della conoscenza del sapere umano filosofico o letterario che fosse. Fondamentale divenne l’esperienza delle cose, del mondo, dell’uomo in ogni suo aspetto. E l’esperienza diretta era quella fondamentale, proprio come quella di uno scienziato che studia i fenomeni nel loro ripetersi per ricavarne delle leggi universali. Inoltre le teorie di Isaac Newton permisero alle menti del Settecento di aprirsi alla concezione meccanicistica dell’universo, ritenuto da quel momento una grandezza conoscibile grazie a un processo del tutto razionale. Anche il mondo era indagabile in modo sperimentale e con esso persino le dinamiche umane. Quello fu il periodo in cui si gettarono le basi dell‘antropologia in senso moderno, con l’interesse per l’altro, il diverso, l’esotico che divenne oggetto di grandi attenzioni, complice il fatto che ormai era consolidato, nell’immaginario comune, il fatto di essere abitanti di un mondo vastissimo tutto da scoprire. E in questo scenario il viaggio assunse una duplice valenza, perché si caratterizzò per essere una pratica di istruzione, studio e ricerca ma (questa è la grande novità) anche di piacere personale, inaugurando gli antesignani della vacanza all’estero e il turismo dei giorni nostri. L’ideale di vita cambiò: ciò che contava non era più una stabilità nella propria esistenza fatta di punti fissi e portata avanti sempre nello stesso luogo, ma si profilava, almeno per gli intellettuali, il valore della varietà dell’esperienza e del viaggio all’estero come puro arricchimento emotivo, culturale e di mentalità.

La letteratura di viaggio
Non si deve rimanere ancorati al luogo natio ma viaggiare, fare esperienze, vedere gente, assaggiare culture. Una serie di frasi che potremmo pronunciare anche noi (fatto salvo ahimè il Covid-19) ma che erano alla base della nuova mentalità settecentesca. Curiosità e interesse per il diverso, uniti a motivi di carattere culturale, spinsero molti intellettuali a muoversi dalle loro terre per fare dei viaggi di esperienza quando non semplicemente di turismo di piacere. E, fedele compagna di questi spostamenti, crebbe una prolificissima letteratura di viaggio, composta da lettere, romanzi, autobiografie, articoli di giornale. Gli scritti e i loro scrittori indagavano e riportavano fenomeni geografici, realtà sociali, aspetti antropologici e urbanistico-artistici del luogo che visitavano e sempre ne uscivano arricchiti in qualcosa. Il viaggio dunque divenne talmente importante da essere considerato ben presto alla moda, un obbligo per i gentiluomini e intellettuali europei. Uno dei più importanti in questo campo fu Wolfgang Goethe, il letterato più famoso dell’epoca che, tra il 1786 e il 1788, compì un viaggio in Italia, rimanendo molto ben impressionato dai monumenti artistici della nostra penisola. Le sue impressioni furono riportate nel suo famoso scritto “Italienische Reise” (semplicemente “Viaggio in Italia“) che fu una delle pietre miliari della letteratura di viaggio. In generale l’Italia divenne una meta fissa dei viaggi degli uomini di cultura europei, interessati e affascinati dalle bellezze artistico-architettoniche che le città italiane potevano offrire. Tanto più che a metà del secolo iniziarono gli scavi a Pompei ed Ercolano, visitati dallo stesso Goethe, che infiammarono ancora di più l’interesse per i monumenti dell’età classica nel periodo in cui l’Illuminismo incentivava la diffusione del movimento del Neoclassicismo. Pertanto altri letterati seguirono l’esempio di Goethe e vennero in Italia, tra i quali si possono annoverare LaurenceSterne, che scrisse il “Viaggio sentimentale attraverso la Francia e l’Italia” (tradotto in italiano da Foscolo) oppure Stendhal (autore del capolavoro “La certosa di Parma“) o ancora Lord Byron (che si recò anche in Grecia).Ma non bisogna credere che gli intellettuali italiani, ancorché meno all’avanguardia rispetto ai colleghi europei, non viaggiassero. E se Foscolo fu costretto a spostarsi tantissimo per via del suo temperamento e della sua esistenza movimentata, uno scrittore che fece del viaggio di piacere e istruzione una parte fondamentale della sua vita fu Vittorio Alfieri che, ricco di famiglia, potè permettersi di fare un vero e proprio grand tour delle mete più gettonate dell’epoca in Europa come poi riportò nella sua “Vita” autobiografia scritta di prima mano dall’autore. E in Francia Alfieri incontrò anche Ippolito Pindemonte, letterato e filologo importante del neoclassicismo italiano che aveva compiuto un viaggio oltralpe per proprio arricchimento culturale. E la letteratura di viaggio non disdegnò di esaltare l’esotico, con i capolavori di Daniel Defoe (tra cui spicca “Robinson Crusoe“) e con Jonathan Swift e il tanto fantasioso quanto satirico “I viaggi di Gulliver“. In questi si riscontra la tematica del cosmopolitismo e della consapevolezza dell’esistenza di numerose realtà diverse dalla mentalità europea, tutte da scoprire, studiare e vedere. E per farlo era necessario viaggiare.